L’estate rappresenta per me un momento di maggiore rilassatezza, quindi da qualche anno mi dedico a leggere quelli che si potrebbero considerare mattoni, ma solo per la mole, non per le storie. Giorni fa mi sono data a I fratelli Karamazov, di Dostoevskij, e nonostante qualche inciampo iniziale sono arrivata alla fine in sole due settimane. Devo dire che non ho mai amato gli autori russi perché hanno quasi tutti quel modo di scrivere troppo prolisso, i nomi sono troppo complicati e troppo simili fra loro e per esporre un concetto facile facile ci mettono 50 pagine. Ma ne è valsa la pena. Certo, ci sono stati dei momenti in cui ho pensato che fosse un po’ noioso, ma la storia è bellissima e lo stile dell’autore – anche se filtrato da una traduzione – è immortale. Della serie che autori così non ne fanno più!
I fratelli Karamazov sono, in ordine decrescente di età, Dmitrij (Mitja), Ivàn e Alekséj (Alëša), diversi praticamente in tutto, soprattutto nei caratteri: il primo è nato dalla prima moglie del padre, Fëdor Pavlovič, ed è irruento, incline alle passioni, superficiale ma non esattamente cattivo, anche perché dopo la fuga della madre e il disinteresse del padre nessuno si è disturbato ad educarlo; il secondo, figlio della seconda moglie del padre (come l’ultimo), è un ragazzo orgoglioso, intelligente e con la pretesa di essere superiore agli altri, ma la sua condizione va a peggiorare fino al delirio; il terzo è l’unico personaggio interamente positivo della storia, buono, caritatevole e con un grande senso di spiritualità.
E poi c’è Smerdjakov, figlio illegittimo di Fëdor Pavlovič e una sorta di pazza asceta, Lizaveta Smerdjaskaja (il soprannome significa “la puzzolente”, so che state sorridendo!), che viene tenuto in casa come sguattero e cuoco. È un ragazzo che non mostra quasi a nessuno la sua intelligenza, facendo credere a tutti di essere un povero stupido ignorante, e cerca di legare con Ivàn, che gli sembra il più simile a lui.
Cosa scatena il pasticcio che vi tiene incollati al 700 e passa pagine? Una donna, Agraféna Aleksandrovna, detta Grušenka, nell’attesa del suo primo amore con cui dopo tanti anni deve ricongiungersi, si diverte a fare impazzire d’amore e desiderio Fëdor Pavlovič e il figlio maggiore Mitja. I rapporti tra i due non sono mai stati buoni, ma s’inaspriscono al massimo, portando padre e figlio perfino alle mani e al desiderio di morte dell’avversario. I fratelli e chi sta intorno a loro assistono quasi inermi a questi conflitti, perfino Katerina Ivanovna, Katja, fidanzata di Mitja e lasciata da lui, con miliardi di scuse, per l’altra. Una notte, quando Mitja va a casa del padre di nascosto per intercettare un suo incontro con Grušenka, in presenza di Smerdjakov che gli dice di aiutarlo, colpisce nella confusione un servo e scappa quando capisce che lei non c’è. Mitja s’informa in giro e la raggiunge in un posto dove lei è andata col suo amore che si è ricongiunto a lei e ad altri. Lì la ragazza si libera di tutta la sua cattiveria e capisce di essere realmente innamorata di Mitja, quindi si fidanza con lui e i due progettano di sposarsi più avanti. Ma quando sembra che i due abbiano trovato la felicità arriva la polizia e arresta Mitja per l’omicidio del padre Fëdor Pavlovič.
A questo punto i fratelli cercano di salvare Dmitrij, di capire la verità su come si sono svolte le cose quella notte e c’è tutta una parte su interrogatori, confessioni e processo vero e proprio. Com’è andata veramente? È stato Mitja ad uccidere il padre? In fondo lui, che lo ha minacciato di morte e ha detto spesso che lo avrebbe ucciso con le sue mani, ed è pure stato visto in casa sua, sembra il vero colpevole. E va considerato pure che ci sono questioni di soldi in mezzo, soldi che Katja aveva prestato al suo ex fidanzato e soldi, eredità della madre, che Fëdor Pavlovič aveva negato al figlio. Il libro si conclude con la parte – che secondo me è la più bella – del processo a Mitja: le arringhe degli avvocati, le testimonianze di quasi tutti i personaggi della storia, misteriose assenze e il verdetto finale. Davvero, fino alle ultime pagine non si capisce dove penda l’ago della bilancia della giustizia: tantissimi colpi di scena fanno guadagnare o perdere punti un po’ all’accusa e un po’ alla difesa.
All’inizio farete un po’ fatica ad andare avanti, ma quelle che leggete sono delle premesse che devono essere fatte per capire meglio tutto il resto della storia. Onestamente non pensavo che mi sarebbe piaciuto così tanto, anche se il fatto stesso che sia considerato universalmente un classico è un po’ una garanzia, no? Io credo che su certi libri non si debba dire troppo, perché si può cadere nel banale e io non sto qui a fare lezione di letteratura. Vi dico semplicemente che l’ho divorato, a parte qualche momento in cui ho dovuto fare una pausa perché l’edizione che ho scelto era la peggiore che potessi prendere. E di questo voglio parlare. Il Mammut della Newton&Compton sembra essere stato pubblicato senza che qualcuno si sia curato di correggere ciò che andava corretto: castronerie assurde come “gli disse” riferito ad una donna (in moltissimi punti, non uno solo), Anne Radcliffe (si chiamava Ann, senza la e) e, quella forse peggiore, la divisione per andare a capo tra l’ e ho. Capisco che il libro sia composto da 800 pagine e uno alla fine può arrivarci un po’ stanco e confuso (anche se non deve capitare), ma un minimo di cura editoriale soprattutto per la lingua italiana… Speriamo lo sistemino, perché se devo essere sincera è da un po’ che questo editore mi lascia perplessa.
Comunque, la storia è davvero bella e narrata in un modo che ormai non esiste più, oltre al fatto che rispecchia anche i costumi della Russia di un’altra epoca. Non lasciatevi spaventare dal numero delle pagine, correte a leggerlo 😉
Titolo: I fratelli Karamazov
Autore: Fëdor Dostoevskij
Traduzione: Alfredo Polledro
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 1879
Pagine: 768
Prezzo: 14,90 €
Editore: Newton&Compton
Giudizio personale: 




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