“Un viaggio chiamato vita” di Banana Yoshimoto

coverUn viaggio chiamato vita è un libro di Banana Yoshimoto edito da Feltrinelli nel 2010. Non è un romanzo, anzi lo collocherei nel genere della saggistica. Mi è stato regalato quest’inverno e mi sono messa a leggerlo solo adesso perché funziona così: per prendere un libro in mano (ogni libro) e decidere di cominciarlo bisogna sentire l’ispirazione del momento.
La Yoshimoto ha scritto dei piccoli capitoletti di varia lunghezza (una, massimo quattro pagine) in cui racconta le sue impressioni sui viaggi che ha fatto o considerazioni varie su esperienze che ha vissuto in prima persona. Quelle sui viaggi sono più che altro nella prima parte e un po’ anche nella seconda. La terza invece si riferisce sostanzialmente alla sua vita privata: la morte del suo cane, la nascita del suo bambino, il rapporto coi genitori e con altre persone importanti che hanno incrociato il suo cammino di vita.
Devo dire che non mi è dispiaciuto affatto leggerlo, perché credo che offra molti spunti di riflessione, soprattutto per quanto riguarda la contrapposizione tra oriente e occidente, che l’autrice stessa sente in maniera molto forte. Ma la sente in negativo, perché sembra confessare (non lo dice chiaramente) ai lettori che i tantissimi viaggi che ha fatto per il mondo le hanno aperto la mente e le hanno permesso di capire quali sono i punti deboli del suo paese.
A tal proposito vi lascio un pezzo che mi ha colpita particolarmente e che si riferisce ad un suo viaggio in Sicilia, a Palermo, che è la mia città. Mi è piaciuto molto innanzitutto perché questa donna, asiatica e così lontana dal nostro modo di vivere, scende dall’aereo praticamente dall’altra parte del mondo e sembra introiettare fin da subito i sentimenti e le disposizioni d’animo di noi siciliani. In secondo luogo, pochi giorni fa sono andata a prendere in aeroporto una mia parente che veniva a trovarci da Roma e, ripensando alle parole della Yoshimoto, mi sono ritrovata a pensare, col sorriso sulle labbra, che vivo in un posto bellissimo e che chiunque venga qui se ne rende conto.

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Poco tempo fa, sono andata per la prima volta in Sicilia.

Siccome mi era stato detto da tutte le persone che conoscevano l’Italia che Palermo è una città pericolosa (persino alcuni italiani mi avevano detto che avrei fatto meglio a girare senza borsa, o con una borsa della quale non mi importava di essere derubata, e con dentro solo cose di scarso valore!), stavo in guardia più o meno come quando sono andata in Sud America. Ma nel momento stesso in cui ho messo piede a terra in aeroporto, mi sono resa conto che era tutto così bello che non mi importava più di niente. Il cielo azzurro e le montagne maestose. Di sera la strada che portava in città era bloccata dal traffico, ma nella luce di quel tramonto c’era una bellezza dimenticata, di cui avevo come nostalgia. La sensazione di pace quando la giornata volge al termine, la felicità di tornare a casa, e quindi la felicità di vivere in quella terra: doveva essere questo ciò che la gente provava. Era una bella serata. Quella sensazione mi aveva invaso il cuore. Circondati da quel sole e da quell’azzurro, è naturale che nasca quel gusto particolare per la ceramica azzurra e gialla. Quando la si trasferisce nell’umidità del Giappone, diventa fredda. Desideravo con tutto il cuore vivere in quella città, gustare il vino sul calar della sera, e mangiare insieme alle persone a cui voglio bene. Non erano tante le città che facevano scaturire in me simili pensieri. Senza contare che qualcuno del personale dell’albergo mi aveva detto che ultimamente furti e scippi erano diminuiti, e che ormai erano più pericolose Roma o Napoli.

Abbiamo passeggiato per la città, osservato strane chiese in cui diverse culture si mescolavano in modo bizzarro, ci siamo immersi nel silenzio dei chiostri, abbiamo partecipato ai festeggiamenti per la Pasqua, mangiato tra le risate, bevuto un po’ troppo, girato per i mercati. Le persone dei quartieri poveri si affacciavano alla finestra e mentre chiacchieravano si divertivano a guardare la strada. E gli immigrati osservavano in silenzio la loro fede, sotto quel cielo meraviglioso, chiaro nonostante fosse ormai sera.

Quel modo di vivere ha lasciato in me una sensazione che non dimenticherò facilmente. Ebbi l’impressione di vedere riconfermata la formula “questa è la vita che fa per me”. Perché in Giappone questo non succede? mi sono chiesta.

 

Tramonto da Capaci, foto di Rodolfo Castronovo

 

Titolo: Un viaggio chiamato vita
Autore:
 Banana Yoshimoto
Traduzione:
 Gala Maria Follaco
Genere:
 Saggistica
Anno di pubblicazione:
 2010
Pagine: 192
Prezzo: 13 €
Editore: Feltrinelli

Giudizio personale: spienaspienaspienasvuotasvuota

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