“Tristano” di Thomas Mann

11108381_1620294628184124_6861347326102478187_nHo letto, a distanza di pochissimo tempo, il secondo racconto della mia raccolta di Mann, Tristano e l’ho apprezzato più del primo, sicuramente.
Questo post sarà un po’ più breve del solito perché non vi parlo di tutte e tre le opere contenute nel libro, ma solo della seconda.

La storia è ambientata al sanatorio La Quiete, dove sia lo scrittore Spinell che la signora Gabriella Kloterjahn vanno a passare un po’ di tempo per questioni di salute: il primo vuole respirare un po’ d’aria pulita di montagna, la seconda invece, dopo la nascita del su primogenito, si è indebolita e ha problemi ai polmoni. La donna viene accompagnata dal marito, che dopo un po’, però, deve tornare ai suoi affari e va via. Gabriella e Spinell passano intere giornate a chiacchierare insieme, lei gli racconta anche di aver amato molto la musica, da ragazza, ma che vi ha dovuto rinunciare con il matrimonio e che adesso le è stato perfino vietato di suonare dai medici. Lo scrittore, troppo preso dalla sua arte, inizia a vedere le cose in modo troppo angelico, trova degli spartiti (tra cui il Tristano e Isotta di Wagner, da cui prende il nome il racconto) e decide di farli suonare alla sua amica. Entrambi sembrano trovarsi in un’altra dimensione, rapiti dalla musica.
Nel frattempo li signor Kloterjahn torna a far visita alla moglie col figlioletto, ma, non appena li vede, Spinell, convintissimo che la donna con quel matrimonio si sia sprecata e abbia spento forzatamente la sua luce vitale, scrive una lettera al marito, una lettera particolarmente ampollosa in cui elenca le affinità tra la sua anima e quella di Gabriella, e in cui quasi lo accusa di averla strappata ad un destino celestiale svilendola col suo brutto cognome. Ci sarà un confronto verbale tra i due uomini in cui si scontreranno le due concezioni della vita: quella dell’artista “eccessivamente” idealista, e quella dell’uomo d’affari a cui interessa il lato concreto delle cose.

È inutile dire che Spinell non riesce quasi a controbattere alle accuse lanciategli da Kloterjahn, perché spesso gli ideali servono a poco nella vita, non si vive di solo estetismo. L’artista, che mette “la bellezza ogni tre parole” (come gli rinfaccia l’altro), viene infatti deriso un po’ da tutti, quando gli altri pazienti del sanatorio sanno che è arrivato dubitano della sua fama. Dall’altra parte, all’inizio si ha un po’ l’impressione che Kloterjahn, quando lascia la moglie a La Quiete per tornare ai suoi affari, sia un po’ freddo, nonostante le attenzioni che riserva alla sua fragile donna. È una sensazione, una pulce nell’orecchio che Thomas Mann ci mette forse per farci capire che la vita non va affrontata con posizioni troppo ferme, e che ci torna in mente quando Gabriella racconta che Kloterjahn è arrivato nel suo giardino (aveva dei rapporti d’affari col padre di lei) mentre lei ciarlava con le amiche e l’ha chiesta in sposa solo tre giorni dopo. Troppo in fretta, secondo Spinell, che vede anche questa cosa come un affare, lui che è abituato a vedere amore e bellezza ovunque. E qui non gli si può dare torto.
Ma la conclusione è che l’ago della bilancia pende dalla parte di Kloterjahn, almeno in Tristano, e la critica è al novantanove per cento nei confronti dell’artista pervaso dal suo estetismo eccessivo e malato.

Questo libro mi è arrivato tramite uno scambio, ed è un’edizione un po’ datata, non particolarmente attuale, infatti l’italiano usato per la traduzione appare antiquato, ma forse non è un male, anzi credo si avvicini di più alla lingua parlata nel periodo in cui il racconto è ambientato. Ci dovrebbero essere delle traduzioni più moderne, se non ve la doveste sentire di leggere questa più vecchiotta.

Buona lettura!

“La cameriera di Artaud” di Verónica Nieto

COVER Prov LA CAMERIERASiamo negli anni Quaranta, in un ospedale psichiatrico francese durante l’occupazione nazista. Amélie Lévy è una ragazzina che a causa di certi disturbi della personalità viene ricoverata nell’istituto di Rodez. La madre non se ne occupa poi tanto, all’inizio le ha detto che sarebbe stata lì per poco, ma il tempo è passato e le sue lettere arrivano sempre più di rado. La giovane passa le sue giornate leggendo libri o aiutando in cucina, ma un giorno arriva un nuovo ospite del manicomio: l’artista Antonin Artaud. Il direttore dell’ospedale decide che sarà proprio Amélie a occuparsi di lui e a diventare la sua cameriera personale. La ragazza inizia a leggere i libri che le vengono prestati da Artaud e a cambiare la sua visione del mondo: se prima, anche solo leggendo la Bibbia, vedeva le lettere che diventavano formichine e se ne andavano via, adesso la sua realtà si ferma e assume contorni sempre più definiti. Amélie riuscirà ad andare dritta verso la guarigione e verso la configurazione di un’identità propria.

Antonin ArtaudAntonin Artaud fu un commediografo, scrittore, attore teatrale e regista francese, vissuto dal 1896 al 1948 e famoso soprattutto per il Teatro della crudeltà, una forma di teatro da lui ideata che presupponeva l’abbandono di qualsiasi elemento non concordante alla fine della rappresentazione in favore di uno spettacolo in cui movimento, gesto, luce e parola si fondessero completamente. Leggendo la sua biografia, veniamo a sapere che da piccolo soffrì di una grave forma di meningite che fu considerata la causa di molti altri disturbi, tra cui diversi episodi di depressione e la dipendenza da oppiacei. Nel romanzo di Verònica Nieto viene raccontata quella parte della sua vita in cui è stato ricoverato nel sanatorio di Rodez del dr. Ferdière (che appare tra i personaggi), alla quale giunge precisamente nel 1943 (e da cui andrà via nel 1946, due anni prima di morire). In questa clinica, il direttore, sperimentò la tecnica dell’elettroconvulsione e dell’arte terapia; la prima, nello specifico, al tempo era vista come l’unico modo possibile per curare determinati disturbi psichici.

La storia, ne La cameriera di Artaud, è vista dalla prospettiva di Amélie (e narrata da lei in prima persona), che, data la sua origine ebraica, deve mutare il suo cognome in Levier per essere un po’ meno riconoscibile. Questa è una cosa interessante, perché sarà parte dei disturbi di personalità della ragazza: c’è quasi uno sdoppiamento tra Amélie Levier, quella che entra a Rodez, e Amélie Lévy, quella che era prima di arrivare al sanatorio e quella che probabilmente tornerà ad essere quando ne uscirà, dopo l’incontro con Artaud.
Il lettore si ritrova nei meandri della mente umana, e soprattutto i personaggi si muovono in uno spazio chiuso dove forse non tutti sono così pazzi come vogliono lasciar credere. La protagonista vive un percorso di crescita individuale che la Nieto, col suo stile delicato, ci fa vivere insieme a lei soffermandosi spesso su ciò che non è ovvio, ciò che potrebbe apparire secondario e meno importante. L’autrice vuole affrontare il tema della vita negli istituti psichiatrici, ma lo fa con garbo e soprattutto con leggerezza e a volte una velata ironia.

La cameriera di Artaud è un romanzo non lunghissimo ma molto interessante, pubblicato da Valigie Rosse nella collana Gli Asteroidi (diretta da Tiziano Camacci), e uscirà tra qualche giorno, a luglio 2015. La collana è contraddistinta da una nota musicale in apertura, una sorta di di introduzione firmata da un cantautore italiano. Questa volta, ad occuparsene, è stato Tommaso Novi, voce, piano e fischio del gruppo Gatti Mezzi, che scrive:

Passiamo molto tempo a interrogarci sulla propria follia, nel tentativo di distinguere i sogni dalla realtà e nella ricerca di qualcuno da amare.

Quando avremo mollato ogni ormeggio che ci tiene composti e immobili in questa melma di normalità, nessuno ci priverà della dignità, niente ci impedirà di consumare la vita con gioia e coraggio, se porteremo dentro di noi la storia di Amélie Levier.

La terremo dentro al nostro orecchio, Amélie, comoda, serena. Lei potrà sussurrarci che i veri folli sono là fuori, lontani dai nostri sensi. I veri folli si ammazzano a vicenda al gioco stolto della guerra ignorando la poesia e le nuvole di zucchero.

Buona lettura!

Titolo: La cameriera di Artaud
Autore: Verónica Nieto
Traduzione:
 Alessio Casalini
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2015
Pagine: 160
Prezzo: 12 €
Editore: Valigie Rosse

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienasvuota

 


camarera-artaud-premio-novela-villa-libro-ese-limite-difuso-cordura-locura_1_699847Verónica Nieto è nata nella provincia di Cordoba in Argentina, ma si è presto trasferita in Spagna dove attualmente vive. Nel 2000 si è laureata presso l’Università di Malaga e successivamente, nel 2003, si è laureata in Teoria della letteratura e Letterature Comparate presso l’Università di Barcellona. Ha poi intrapreso la strada dell’editoria. Al momento lavora per le redazioni di Círculo de Lectores, Libros del Asteroide o Galaxia Gutenberg. Ha scritto racconti e romanzi che hanno avuto un ottimo successo di pubblico e ricevuto numerosi premi, tra questi La camarera de Artaud che vede ora la prima traduzione italiana.

In breve: “La fiera verrà distrutta all’alba” di Angelo Orlando Meloni

copertina_lafieraverràdistruttaall'albaLa fiera verrà distrutta all’alba è un libro di Angelo Orlando Meloni, pubblicato lo scorso maggio da Intermezzi Editore. La storia fa sorridere e riflettere allo stesso tempo, in quanto descrive perfettamente la situazione attuale degli aspiranti scrittori e anche del giornalismo moderno. La descrizione ovviamente è molto ironica, ma così ironica che sfiora l’assurda realtà in cui viviamo oggi.

Immaginiamo che il mondo sia un grosso imbuto all’interno del quale si trovano diverse persone che hanno imparato a leggere e a scrivere, e che tra queste persone ci sia qualcuna che prima di morire abbia scritto un libro, una raccolta di racconti, un saggio o delle poesie. Una percentuale di questi testi non verrà mai letta da nessuno e scivolerà giù per questo imbuto, andando a cadere e accumularsi in un magazzino o in una biblioteca. Che assomiglia molto a quella pensata da Franceschini, ma non apriamo questo capitolo, anzi stendiamo un velo pietoso. Tra queste opere c’è un romanzo, Sono felice, di Enzo Losanga, un ragazzo di Pachino che si è laureato in scienze politiche ma f ail cameriere in una pizzeria. Un giorno ad Enzo è arrivata una telefonata dall’editore Mille e Più di Torino, che gli ha detto che il suo libro verrà pubblicato. Enzo si licenzia dalla pizzeria e va a Torino, dove incontra altri stranissimi personaggi, tutti aspiranti scrittori o giornalisti che scrivono per giornali che per farsi leggere, addirittura, pagano i loro lettori, come Benni Carbonero. I sogni di queste persone andranno in fumo, perché la casa editrice esplode, e indovinate quale sarà l’unico romanzo che si salverà? Sono felice.

Compariranno nella storia anche diversi morti viventi, quei grandi editori e autori, ormai passati a miglior vita, che infestano il salone del libro in una sorta di apocalisse letteraria. Ma ben più pericolosi sono quei tipi che, come consiglia di fare ad Enzo uno dei personaggi, si sono creati una fanpage su Facebook e hanno specificato accanto al loro nome di essere scrittore. Dai, chi non li ha mai visti? Al giorno d’oggi ci ritroviamo ad avere più scrittori che lettori, perché ormai, in un modo o nell’altro, tutti riescono a pubblicare, non importa cosa. Ne La fiera verrà distrutta all’alba, i libri sono così tanti che fanno crollare gli stand della fiera del libro. Angelo Orlando Meloni racconta il tutto con ironia e fa divertire il lettore che però, alla fine, realizza che quella finzione è troppo vicina alla verità. E un po’ ci si spaventa, ecco.

Titolo: La fiera verrà distrutta all’alba
Autore: Angelo Orlando Meloni
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2015
Dimensioni: 270 Kb (formato Kindle)
Prezzo: 2,99 €
Editore: Intermezzi

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienasvuota

“Amore, dieci anni dopo” di Julian Barnes

Il tradimento con la T maiuscola succede tra amici,
tra persone che si vogliono bene.

 

11401016_1631732280373692_1206883439506069184_nQualche mese fa ho letto Amore, ecc. di Julian Barnes, un autore che mi è subito piaciuto. Alla fine ho scoperto che c’era una seconda parte e, dopo averla cercata per molto tempo, finalmente sono riuscita a trovarla indovinate dove? Non a Palermo, ma all’aeroporto di Fiumicino, mentre aspettavo di potermi imbarcare sull’aereo. Poi ho aspettato qualche settimana per leggerlo, avevo altra roba per le mani. Comunque anche questa volta mi hanno fatto il 20% di sconto, si vede che becco sempre i momenti migliori per darmi a questa storia.

In Amore, dieci anni dopo ritroviamo i personaggi del libro precedente, appunto, a dieci anni di distanza dal fattaccio (ricordiamo: Stuart sposa Gillian, Gillian s’innamora del migliore amico di suo marito, Oliver, e quindi divorzia da Stuart, poi sposa Oliver, va a vivere con lui, ma un giorno litigano, lui le dà una sberla e va via). Veniamo a sapere che, in realtà, Stuart aveva assistito alla scena perché alloggiava in un albergo proprio di fronte alla casa del suo ex amico e della sua ex moglie. Non si capisce bene se quello che ha visto possa servirgli a togliersi definitivamente dalla testa Gillian (della serie ben ti sta), o ad amarla ancora di più e volerla salvare. In ogni caso, sappiamo anche che nei dieci anni che sono passati Stuart è andato negli USA, ha intrapreso un business che lo ha reso ricco, ha sposato un’americana e ha divorziato dopo cinque anni; Oliver e Gillian, invece, hanno avuto due figlie, ma il loro matrimonio è diventato sempre meno esaltante e si è piegato sempre di più all’abitudine.
Adesso Stuart è tornato, ma non è più il ragazzo goffo e poco interessante di una volta, si è trasformato in un uomo pacato, carismatico e sicuro di sé, se ne accorgono tutti. Anche Oliver è cambiato, o meglio, è cambiata l’impressione che dà di sé agli altri: non appare più come un simpaticone che fa battute pungenti e acute, ma risulta ridicolo e patetico.
Stuart cerca di aiutarli ad uscire dalla mediocrità, ma in realtà è tornato perché non ha mai smesso di amare Gillian e adesso vuole riprendersela.

La narrazione è affidata, anche in questo caso, ai vari personaggi che narrano le vicende dal loro punto di vista, e compaiono anche le figlie di Oliver e Gillian, una delle quali, Marie, mi ha fatta ribaltare dalla sedia più volte, dal momento che a un certo punto dice solo: “Plutogatto. Voglio un gatto. Lo chiamiamo Pluto. Gatto. Plutogatto”.
La cosa bella di questo libro è che non cade mai nel melenso, non è una di quelle storielle in cui due personaggi s’innamorano, si sposano e vivono felici e contenti nel loro castello fatato. Anzi la definirei l’evoluzione di una storia come se ne vedono tante al giorno d’oggi. Rispetto al precedente, lo stile è più aggressivo, come d’altronde il personaggio di Stuart, che adesso dimostra di sapere esattamente cosa fa, di non volersi mettere da parte e, anzi, di essere tornato per riprendersi quello che si è fatto sfilare da sotto il naso per troppa timidezza. È cresciuto e non ha nessuna intenzione di andarsene a mani vuote. Anche se ogni tanto a te, lettore, può venire in mente che in realtà non voglia risposare Gillian, ma solo rovinare il loro matrimonio. Io me lo sono chiesto più volte, poi magari se lo leggete mi potete dire che ne pensate.

Il romanzo esce in Inghilterra nel 2000, a quasi dieci anni di distanza dal precedente, mentre in Italia ci arriva nel 2004, anche qui con una bella copertina. La cosa che mi stupisce è che il traduttore è cambiato e mi chiedo seriamente perché (a meno che non ci siano stati dei motivi gravi, reputo la scelta molto sbagliata); secondo me un traduttore che cura una parte della storia dovrebbe curare anche il seguito, a meno che non gli sia successo niente di brutto. E poi dovrebbe esserci qualcuno messo anche a curare la bozza prima che vada in stampa. Cara Einaudi, io con te non so più che devo fare, alcune bestialità che trovo non riesco a capire se siano refusi o errori nati dall’incompetenza di chi lavora per voi. Se su è già, che appare svariate volte, può essere una correzione automatica (ma comunque dovrebbe essere una persona fisica a controllare e correggere) per su e giù, io non riesco ad accettare che stampiate qualcosa come va a farti fottere. Lo insegnano alla scuola elementare che l’imperativo seconda singolare è va’ e vuole l’apostrofo. Se lo scrivete così sembra che vogliate dire egli va a fare fottere te. Che significa? State più attenti, grazie, perché se anche un libro è bello ci fate passare il piacere della lettura.

Titolo: Amore, dieci anni dopo
Autore: Julian Barnes
Traduzione:
 Susanna Basso
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2000 (2004 questa edizione)
Pagine: 262
Prezzo: 11,50 €
Editore: Einaudi

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienasvuota