L’uccello dipinto è un libro che ho scoperto spulciando il catalogo della minimum fax in un momento di noia e che sono riuscita a comprare ad Una marina di libri. Confesso di essere un’appassionata di romanzi ambientati durante la seconda guerra mondiale, quindi la trama, leggendola così, ci ha messo davvero poco a conquistarmi, solo che poi la lettura si è rivelata alquanto strana e complicata.
Siamo in un paese dell’Europa dell’Est. Un bambino di sette anni viene nascosto dalla sua famiglia in un villaggio di campagna perché gli vengano risparmiate le atrocità della guerra e, in maniera più specifica, le violenze degli invasori tedeschi, ma la donna che se ne occupa, dopo un po’ di tempo, muore e il protagonista passa da un villaggio all’altro (e da un “padrone” all’altro) vivendo e vedendo cose che alla sua tenera età non dovrebbe neanche immaginare. Nel frattempo cresce, e tra una cosa e l’altra, mentre viene scambiato alcune volte per un ebreo e altre per uno zingaro, cerca di rintracciare i suoi genitori, che però non riesce più a ricordare troppo bene.

A quanto pare la storia del bambino assomiglia molto alla reale vita dell’autore. Ad esempio, anche Kosinski è caduto nel mutismo più totale per un periodo della sua giovinezza, anche lui è stato affidato dalla famiglia alle cure di qualcun altro, e anche lui è stato perseguitato, sebbene neghi che questa sia una sorta di biografia. All’inizio del libro c’è una parte intitolata Successivamente (che potete leggere qui) e scritta da Jerzy Kosinski, in cui l’autore spiega che cosa è successo dopo la pubblicazione di questo romanzo. L’uccello dipinto è stato considerato uno dei libri più controversi e scandalosi del secolo scorso in quanto denuncia le condizioni della Polonia occupata dai tedeschi. Lo stato gli si è rivoltato contro, ha mandato delle persone a fargli del male, a ricattarlo o a intimargli di togliere di mezzo il romanzo e ritrattare quanto detto. Hanno coinvolto perfino sua madre, malata, per colpire lui, che aveva anche cambiato il suo nome (Józef Lewinkopf) per farlo risultare meno ebreo e la sua nazionalità. Di contro, gente che realmente aveva vissuto le situazioni descritte nel libro, lo incontrava per strada o gli scriveva e gli raccontava che, in confronto alla realtà, quelle del romanzo erano “scene bucoliche”.
Il 3 maggio del 1991, però, Kosinski non ce la fa più, ha vissuto una vita troppo difficile e amara, e si suicida legandosi intorno alla testa un sacchetto di carta. Viene trovato morto nella vasca da bagno di casa sua. Lascia un biglietto: «Vado a dormire un po’ più a lungo del solito. Chiamatela pure Eternità.»
Kosinski racconta, dalla prospettiva di un bambino all’inizio innocente, i momenti in cui i soldati nazisti arrivavano nei villaggi e per puro diletto violentavano donne, ragazzine e perfino bambine davanti agli occhi dei padri, dei mariti o dei fratelli; racconta delle superstizioni dei villaggi di campagna, in cui un bambino coi capelli scuri e gli occhi neri veniva considerato quasi il figlio del demonio ed era trattato duramente dalle persone che, però, avendone paura, evitavano di guardarlo negli occhi; racconta di abusi subiti da giovani donne che vivevano in posti isolati e di accoppiamenti quasi demoniaci tra queste e gli animali. Quindi, se siete deboli di stomaco, non leggete questo romanzo che fa davvero male. Al cuore, però.
Il protagonista, di cui non si sa il nome, non fa altro che provare ad adattarsi alle situazioni in cui si trova. A me ha ricordato il picaro1, tipico della letteratura spagnola. È un bambino che impara da ciò che vive a non cadere nelle trappole e a non causare guai che potrebbero rivelarsi la sua rovina. Perde gradualmente la sua innocenza, anche se ad un certo punto fa una riflessione prettamente infantile:
Non sarebbe stato più facile cambiare gli occhi e i capelli della gente, invece di costruire grandi forni e poi catturare ebrei e zingari per bruciarveli dentro?
Provate a dargli torto. Provate ad immaginare quanto insensata possa essere stata soprattutto per un bambino la situazione di quell’epoca.
Ma qualcuno di voi forse si starà chiedendo il perché del titolo. Lo spieghiamo subito. Quando Kosinski inizia a scrivere gli vengono in mente Gli uccelli di Aristofane, una commedia satirica in cui l’autore poteva parlare di fatti e personaggi di attualità senza le restrizioni imposte a chi scrive di storia. Poi ha pensato ad un’usanza contadina di cui era stato testimone da piccolo: gli abitanti dei villaggi, per svago, catturavano degli uccelli, dipingevano le loro penne e li lasciavano liberi di tornare nel branco, ma i loro simili non li riconoscevano più e, anzi, li consideravano minacciosi, quindi li attaccavano fino ad ucciderli.
Secondo me L’uccello dipinto è un libro molto bello e penso che vada letto, ma capisco che tante persone leggano per svago e cerchino cose leggere, e questo, ripeto, è un romanzo che fa male.
Nel 2015 il libro compie 50 anni e la minimum fax lo ha pubblicato con una copertina che a me, personalmente, piace molto. Quindi, a chi se la sente, buona lettura!
Titolo: L’uccello dipinto
Autore: Jerzy Kosinski
Traduzione: Vincenzo Mantovani
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 1965 (marzo 2015 questa edizione)
Pagine: 325
Prezzo: 13,50 €
Editore: minimum fax
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Con romanzo picaresco (dallo spagnolo pícaro, briccone, furfante, che compare per la prima volta nella Farsa salamantina di Bartolomé Palau come picaro matriculado), si identifica generalmente una narrazione apparentemente autobiografica, fatta in prima persona e in cui il fittizio protagonista descrive le proprie avventure dalla nascita alla maturità. L’eroe è una persona di bassa estrazione sociale, generalmente un orfano nato da genitori ignoti e abbandonato a se stesso in un mondo ostile.
Per sopravvivere è costretto a compiere azioni riprovevoli, come rubare, prostituirsi, uccidere. Ma venire a compromessi con un mondo che è esso stesso spietato e crudele non pregiudica l’intrinseca bontà del personaggio, che alla fine è spesso premiata col successo. L’iniziazione alla società è caratterizzata da un fatto sfortunato, che dà l’avvio a una serie di peripezie e di viaggi durante i quali il protagonista si imbatte in persone di varia estrazione sociale. (wikipedia) ↩