Oggi vi parlerò di un libro a cui ho dovuto dedicare un po’ di tempo in più rispetto agli altri. Me lo sono portato in viaggio una decina di giorni fa, ma sono riuscita a leggere solamente parte dell’introduzione. No, non era un testo da affrontare a singhiozzo, quindi l’ho letto per bene e concluso quando sono rientrata a casa. Non è un romanzo ma un saggio, o meglio, una raccolta di due saggi di Madame de Staël pubblicata da Bibliosofica con una nuova traduzione più moderna di Andrea Inzerillo e a cura (e con un’introduzione) di Livio Ghersi.
Madame de Staël, nata Anne-Louise Germaine Necker, nacque a Parigi il 22 aprile del 1766 e visse in anni molto importanti dal punto di vista storico: vide la Rivoluzione Francese, il periodo del Terrore, il Direttorio, l’ascesa al potere di Napoleone, l’impero napoleonico e poi la restaurazione dei Borbone. Era una persona molto colta, sua madre Suzanne nello specifico teneva a Parigi un salotto frequentato da persone di rilievo in campo letterario, artistico e politico in cui ogni tanto si vedevano personaggi come Diderot; lei, piccolina, stava seduta su uno sgabello accanto alla mamma, e ascoltava attentamente imparando l’arte della conversazione. Non era particolarmente bella, e il fatto stesso che si sposò quasi ventenne era forse un segno del suo aspetto fisico (di solito le ragazze prendevano marito intorno ai sedici anni). Ma se esteriormente non colpiva, interiormente era dotata di grande cultura e capacità critica, caratteristiche che nella vita le causarono qualche problema.
Germaine era prima di tutto una donna e le donne, in quegli anni, non dovevano impicciarsi in ambiti che non erano di loro competenza, come la politica: per questi motivi ebbe un rapporto conflittuale con la madre che invece stava sempre al suo posto. Fu sicuramente una donna diversa dalle altre, perché l’essere nata in una famiglia facoltosa le permise di godere di diversi privilegi, ma era pur sempre una donna. Faceva suo il meglio del pensiero dell’Illuminismo, si sentiva parte della specie umana e credeva nel miglioramento costante dell’umanità, parlava alla Francia e all’Europa ma non venne mai considerata francese per via delle sue origini svizzere.
Napoleone, in particolar modo, fu uno dei più colpiti dalla critica di Madame de Staël, tutto ciò che lei scriveva gli risultava sgradito. Viaggiò molto – anche in Italia, in cui decise di ambientare Corinne ou l’Italie e in cui scrisse un importante contributo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni – e fu molto perseguitata. Sposò il barone de Staël-Holstein e amò anche altri uomini, nel 1803 fu interdetta da Parigi dove potè ritornare solo dopo la fine dell’impero napoleonico (e dove morì il 14 luglio del 1817).
Bibliosofica ha pubblicato da pochissimo Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau. Riflessioni sul suicidio, un volumetto che racchiude due dei tre saggi che Madame de Staël pubblicò con l’editore francese Nicolle appena rientrata a Parigi nel 1816. Il libro, che si propone in primis di far conoscere meglio al pubblico questa figura così importante nel panorama storico-culturale europeo, è curato da Livio Ghersi che con una bella ed esaustiva introduzione ce la fa quasi riscoprire per poi lasciare la parola direttamente a lei al suo pensiero.
In Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau ( pubblicate nel 1788, dieci anni dopo la morte di Rousseau) cerca di riabilitare la memoria di questo grande autore che al momento della sua morte, nel 1778, veniva isolato e schernito dagli altri illuministi che davano seguito alla diceria che si fosse suicidato. Diceria a cui la stessa autrice diede credito. Madame de Staël (nome che mantenne anche dopo il divorzio) non ebbe molta fiducia nel pensiero politico di Rousseau ma di sicuro ne riconobbe lo spessore intellettuale.
Rousseau sognava, più che esistere, e i casi della sua vita avvenivano più nella sua mente che fuori di lui.
(…)
Si credeva destinato a soffrire, e non agiva contro il suo destino.
L’altro saggio, Riflessioni sul suicidio, invece, prese spunto da un fatto che aveva richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica: il suicidio del poeta von Kleist e della sua amante Henriette Vogel in Prussia il 21 ottobre 1811. Quando lo scrisse, nel 1812, comunque, si trovava particolarmente incline alla tristezza e molto depressa, stato d’animo che peggiorò ulteriormente quando nel 1813 suo figlio Albert, ufficiale dell’esercito svedese e non ancora ventenne, rimase ucciso in duello. In questo saggio affronta l’atteggiamento dell’essere umano di fronte alla morte, parlando del suicidio come di un atto compiuto da una persona consapevole di quel che fa e fisicamente in grado di realizzare il progetto di darsi la morte, ma è comunque un atto di egoismo, dal momento che il suicida restringe la propria visione del mondo a se stesso e non vede più tutto ciò che gli sta intorno. Questi pensieri rappresentano il frutto di una sorta di crisi mistica dell’autrice, che non fu altro che il riemergere della sua fede religiosa.
Nel mio percorso di studi mi è capitato diverse volte di incontrare qua e là Madame de Staël, specialmente per quanto riguarda il suo articolo sulle traduzioni, ma questo libro mi ha dato la possibilità di conoscerla meglio e credo che sia un ottimo strumento per chiunque volesse accostarsi ad un personaggio così importante e un po’ messo da parte negli ultimi tempi. Ve lo consiglio davvero!
Buona lettura!
Titolo: Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau. Riflessioni sul suicidio
Autore: Madame de Staël
Cura e introduzione: Livio Ghersi
Traduzione: Andrea Inzerillo
Genere: Saggistica
Anno di pubblicazione: 2016
Pagine: 168
Prezzo: 12 €
Editore: Bibliosofica