#LeggoNobel | “L’urlo e il furore” di William Faulkner

(La vita) «… racconto detto da un idiota, pieno di urlo e di furore,
che non significa nulla.»

(Dal Macbeth di Shakespeare)

 

6-urloUltimamente sembra che nel gruppo di lettura di #LeggoNobel ci stiamo mettendo d’impegno a scegliere romanzi belli tosti. Di sicuro perché un autore vinca il Nobel deve essere tosto di suo, ma i romanzi impegnativi li leggiamo quasi tutti noi. Questa volta, come qualcuno di voi sa, abbiamo affrontato William Faulkner e il popolo, tramite votazione, ha scelto L’urlo e il furore, quindi oggi vi racconto un po’ com’è andata la nostra lettura di settembre/ottobre. C’è da dire, innanzitutto, che sono stati in pochi – o addirittura nessuno – a rispettare le tappe che avevamo stabilito, le cinque settimane che erano state fissate come periodo per non rendere il libro troppo pesante e per dare a tutti il tempo di seguire anche altre letture di gruppo. Quasi tutti, chi per un motivo e chi per un altro, siamo finiti a leggere L’urlo e il furore tutto d’un fiato. Per quanto mi riguarda, dopo qualche incertezza iniziale, ho deciso di finirlo perché avevo paura di perdere il filo e perché avevo altra (troppa) carne sul fuoco in quel momento.

Perché all’inizio sono andata più lentamente? Perché il romanzo che abbiamo affrontato è costruito in maniera complicata e si presenta a più voci. Quella che Faulkner racconta è la storia dei Compson, una famiglia americana del Sud che una volta era ricca e adesso è in decadenza. Si divide in quattro parti che si riferiscono a quattro giorni diversi non consecutivi e sono narrate da quattro personaggi diversi:

  1. la prima, quella che mi ha creato più difficoltà, tratta del sette aprile 1928 e a parlare è Benjy Compson, il figlio di 33 anni che ha un ritardo mentale e viene trattato da tutti come se fosse un bambino;
  2. con la seconda torniamo a diciotto anni prima, al due giugno 1901, e a parlare è Quentin, un altro figlio, che all’epoca era studente ad Harvard e che poi si suicida per qualcosa che riguarda la sorella Candace (Caddy) con cui aveva un rapporto particolare;
  3. nella terza si ritorna al presente, al sei aprile 1928, e la storia è narrata da Jason, l’altro fratello, più cinico e meno attaccato alla famiglia;
  4. nell’ultima invece, relativa all’otto aprile 1928, parla Dilsey, la domestica di colore che ha tre figli e un nipote, e che sembra avere la visione più lucida tra tutti i personaggi.
William Cuthbert Faulkner, nato Falkner (New Albany, 25 settembre 1897 – Byhalia, 6 luglio 1962)
William Cuthbert Faulkner, nato Falkner (New Albany, 25 settembre 1897 – Byhalia, 6 luglio 1962)

Mettendo da parte la complessità del linguaggio usato nelle prime due parti – in cui a parlare sono un ritardato mentale e un ragazzo con problemi che infatti poi si suicida – avrete notato che, togliendo il secondo capitolo che rappresenta un flashback, gli altri tre “giorni” non sono consecutivi, ma sono descritti in un diverso ordine. Mi sono chiesa più volte come sarebbe stato se avessi letto i capitoli cercando di riprodurre l’ordine cronologico della vicenda, cominciando da Quentin, passando da Jason, poi da Benjy per finire con Dilsey. Non so se sarebbe stato più facile ai fini della comprensione, ma di certo avrei stravolto il lavoro di Faulkner.
Altra difficoltà incontrata: i nomi dei personaggi. Alla fine del libro c’è un’appendice in cui viene spiegata bene la storia della famiglia Compson, una parte che lo stesso Faulkner definiva “la chiave di tutto il libro” e che fu inserita nella ristampa del 1946. Qui apprendiamo che nella famiglia ci sono due Quentin, uno dei quattro fratelli Compson e la figlia di Caddy, chiamata così in memoria dello zio; ma ci sono anche due Jason, ovvero il capofamiglia e uno dei figli.

Uno dei personaggi di cui tutti parlano, ma che non ha una voce propria, è proprio Caddy, la sorella che anni prima è andata via di casa per essere rimasta incinta chissà di chi. È la pecora nera della famiglia, amatissima dal fratello Quentin, legatissima a Benjy ed estremamente disprezzata da Jason (che disprezza pure Quentin, la figlia di lei):

Puttana una volta puttana per sempre, dico io. Io dico che sei fortunata se tutto quello che ti preoccupa è il fatto che salta la scuola. Io dico che adesso dovrebbe essere giù in quella cucina, anziché su in camera sua, a spalmarsi la faccia di belletto e ad aspettare che sei negri che non sono neanche capaci di alzarsi da una sedia se non hanno vuotato un tegame di pane e di carne per tenersi in equilibrio le preparino la colazione.

L’urlo e il furore, che Attilio Bertolucci nella postfazione definisce «un poema sinfonico in quattro tempi», è un romanzo difficile a cui devo dedicarmi una seconda volta. Il secondo capitolo che, pur non essendo il più chiaro come linguaggio, secondo me è il più bello, va letto più di una volta perché, se avete una mentalità razionale e che cerca sempre un ordine nel caos come me, farete un papocchio. Al discorso in prima persona che inizialmente tenterete di seguire si sovrappone un flusso di coscienza espresso in corsivo che rompe le frasi a metà, le lascia, le riprende e vi fa perdere il filo. Mi è stato, infatti, consigliato di tornare proprio a quel corsivo e rileggere quello, cosa che appena trovo un attimo di calma farò di sicuro.
Questo romanzo è una sorta di puzzle, bisogna lasciarsi trascinare dalle parole dei Compson senza volere per forza razionalizzare, senza pensare che nel tempo della storia il secondo capitolo dovrebbe venire prima del primo e il terzo pure. Dovete mettere i vari pezzi da parte e alla fine assemblarli per creare un quadro completo della situazione.
Mi verrebbe da dire che Faulkner non è un autore che fa per me, ma devo ancora fare chiarezza intorno a L’urlo e il furore e leggere altri suoi lavori. Durante questa lettura di gruppo, stavo anche leggendo I quarantanove racconti di Hemingway (il mio scrittore del cuore) e all’interno di LeggoNobel mi è stato fatto notare come ciò potesse essere controproducente, dal momento che i due autori sono quasi agli antipodi della letteratura americana. Però magari è la conferma che il mio gusto personale è più orientato verso una scrittura cristallina, chiara, piuttosto che verso i flussi di coscienza e le storie più intricate.

Buona lettura!

Titolo: L’urlo e il furore
Autore: William Faulkner
Traduzione:
 Vincenzo Mantovani
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 1929 (1997 questa edizione)
Pagine: 322
Prezzo: 13 € (l’edizione più recente)
Editore: Einaudi
Giudizio personale: spienaspienaspienasmezzasvuota

2 pensieri su “#LeggoNobel | “L’urlo e il furore” di William Faulkner

  1. “Di sette romanzi questo è l’unico che io abbia scritto in assenza di una motivazione o di uno sforzo costante, né della successiva sensazione di esaurimento o sollievo o disgusto. Quando lo iniziai non avevo alcun progetto. Non stavo nemmeno scrivendo un libro. Pensavo sì ai libri, alla pubblicazione, ma al contrario, dicendo a me stesso che non avrei dovuto preoccuparmi che piacesse o no agli editori. Quattro anni prima avevo scritto La paga dei soldati. Non mi ci era voluto molto per scriverlo e venne pubblicato alla svelta e mi fruttò circa cinquecento dollari. Dissi: A quanto pare scrivere romanzi è facile. Non si guadagna molto, ma è facile. Scrissi Zanzare. Non fu poi così facile da scrivere e non venne pubblicato altrettanto velocemente e mi fruttò circa quattrocento dollari. Dissi: A quanto pare scrivere romanzi ed essere un romanziere è più complicato di così, di quanto pensassi. Scrissi Sartoris. Impiegai ancora più tempo, e l’editore lo rifiutò immediatamente. Ma continuai a offrirlo a destra e a manca per tre anni con speranza testarda e sempre più debole, forse per giustificare il tempo che vi avevo dedicato. La speranza morì lentamente, ma senza alcuna sofferenza. Un giorno mi parve di aver chiuso una porta tra me e gli indirizzi degli editori e i cataloghi. Dissi a me stesso: Ora posso scrivere. Ora posso fabbricarmi un vaso come quello che l’antico romano teneva accanto al letto e il cui bordo erose lentamente a furia di baci. Così io, che non avevo mai avuto una sorella e che ero destinato a perdere mia figlia ancora piccola, mi sono proposto di dar vita a una bella e tragica ragazzina.

    William Faulkner, An introduction for The Sound and the Fury – 1946

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