Ora che eravamo libere | Henriette Roosenburg

Mi hanno sempre interessata moltissimo le storie ambientate nel periodo della Seconda Guerra mondiale, soprattutto quelle in cui si raccontano le vicende di chi ha vissuto nei campi di prigionia e di sterminio, e quindi grazie a Fazi che mi ha permesso di leggerlo in anteprima mi sono dedicata a Ora che eravamo libere, un romanzo autobiografico di Henriette Roosenburg che esce in libreria oggi. Si tratta di una storia molto forte perché al centro ci sono proprio gli eventi di cui è stata protagonista l’autrice stessa, catturata nel 1944, rinchiusa nel carcere di Waldheim in Sassonia come prigioniera politica e condannata a morte per essersi unita alla resistenza antinazista ed essere stata staffetta partigiana e giornalista. Nel maggio successivo fu liberata insieme ad alcuni compagni di prigionia ed è proprio qui che inizia questo libro che, bestseller negli anni Cinquanta quando uscì per la prima volta in America, viene riscoperto adesso a livello internazionale e giunge al pubblico italiano nella traduzione di Arianna Pelagalli.

Henriette, la voce narrante, che a questo punto della sua storia è conosciuta dagli altri come Zip o Zippie, ha tre compagni di sventura insieme a cui affronta tutte le peripezie per poter finalmente tornare dalla Sassonia in Olanda. Sono Nell, una trentenne che era funzionaria del movimento scout e quindi ha grandi doti organizzative, Joke, di soli vent’anni che nascondeva piloti alleati abbattuti, e Dries, l’unico uomo, ventisei anni, marinaio mercantile che aveva cercato di attraversare la Manica. A loro più avanti si unirà Jos, un ragazzo che non vede l’ora di tornare dalla sua compagna e a cui, nel frattempo tutti gli altri si affezioneranno. La Roosenburg inizia infatti il romanzo con un omaggio a tutte queste persone che sono state con lei in quel momento così importante della sua vita:

Ai miei amici Joke, Nell, Dries e Jos, e a quanti sono morti affinché l’Olanda potesse vivere.

Roosenburg racconta tutto questo trasmettendo sia la paura di cadere prigioniera di nuovo dopo essere stata liberata che il coraggio che nasce nell’essere umano quando capisce di essere pronto a tutto per ricominciare a vivere e tornare dalla propria famiglia. Per quanto mi riguarda non avevo mai letto storie di persone che in quegli anni sono state catturate come prigionieri politici, ma mi ero sempre soffermata su quelle degli ebrei nei campi di concentramento. Sicuramente è un punto di vista diverso su uno dei periodi più brutti della storia del secolo scorso, e leggere il racconto di chi lo ha vissuto in prima persona permette di immedesimarsi ancora di più. Quello che emerge è una profonda incertezza da parte dei protagonisti, quella di non sapere se chi incontrano vorrà aiutarli davvero o è ancora fedele al regime nazista; ma c’è anche lo stupore di chi una volta che ha perso la fiducia nel prossimo sente di poterla riacquistare quando inaspettatamente riceve aiuto da uno sconosciuto che gli offre un riparo o un pezzo di pane.

Ora che eravamo libere esce nei giorni che precedono la giornata della memoria, commemorazione di qualcosa a cui le vicende raccontate nel libro sono strettamente legate, anche se non messe in primo piano. È il racconto di chi è riuscito a non impazzire durante la prigionia (Roosenburg si concentra molto sulla descrizione della vita nel carcere) e ora finalmente può riassaporare la libertà e non vuole rinunciarci, a qualsiasi costo, anche se sa che deve tornare in un Paese devastato dalla guerra.
Un romanzo importante proprio dal punto di vista storico.

Buona lettura!

Titolo: Ora che eravamo libere
Autore: Henriette Roosenburg
Traduttore: Arianna Pelagalli
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 21 gennaio 2021
Pagine: 300
Prezzo: 18 €
Editore: Fazi


Henriette Roosenburg – Quando scoppiò la seconda guerra mondiale era studentessa di Lettere. Audace e avventurosa, prese subito parte alla resistenza olandese: lavorava per la stampa clandestina e aiutava le persone ad attraversare il confine. All’inizio del 1944 fu catturata dai nazisti e condannata a morte per ben tre volte. Emigrata in America dopo il conflitto, morì nel 1972 a New York dopo un’appassionata carriera giornalistica che la vide diventare una delle firme di maggior prestigio del «Time».

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