Intervista ad Adriana Assini, autrice de “La spada e il rosario. Gian Luca Squarcialupo e la congiura dei Beati Paoli”

Il mese scorso è uscito per la casa editrice napoletana Scrittura & Scritture La spada e il rosario. Gian Luca Squarcialupo e la congiura dei Beati Paoli, il nuovo libro di Adriana Assini, autrice che da queste parti avevamo già conosciuto con il romanzo Giulia Tofana. Gli amori, i veleni.

Anche questa volta si tratta di un romanzo storico e la vicenda si svolge in una Palermo del 1516 governata dagli spagnoli, nello specifico dal viceré Hugo de Moncada. Nonostante le vessazioni di chi amministra la città (prima lo spagnolo, costretto a fuggire, poi Ettore Pignatelli), sembra che in città regni la calma; ma è solo apparenza, perché infatti un gruppo di commercianti oppressi dalle tasse, pieni di debiti e sull’orlo della bancarotta, trama insieme ad alcuni membri della nobiltà per organizzare una rivolta e far sì che a governare Palermo ci sia qualcuno che ami di più la città e che possa rendere la situazione migliore per tutti. A capo di questa sollevazione c’è Gian Luca Squarcialupo, un commerciante di zucchero coraggioso, attraente ma pieno di contraddizioni. Sposa una donna per convenienza, ma è da sempre innamorato di Francesca, sposata anche lei con un altro. Sembra avere tutto sotto controllo, crede di conoscere ogni suo singolo avversario, ma non si accorge di chi fa il doppio gioco e di chi in realtà non gli è amico. Per non parlare del ruolo che nella vicenda giocano i Beati Paoli, setta di giustizieri e vendicatori nata in Sicilia nel XII secolo della cui esistenza, però, non si hanno notizie certe.
Riuscirà Squarcialupo nel suo proposito di salvare la città e la sua economia? Lo scoprirete leggendo questo bel romanzo ambientato nella mia città, ricco di colpi di scena, in cui le atmosfere palermitane risultano vivide grazie alle descrizioni di usi e costumi, di cibi e di luoghi che inserisce l’autrice.

Ma questa volta, più che parlavi in maniera dettagliata di un libro che ho trovato davvero interessante, ho pensato di farvi conoscere meglio Adriana Assini, che lo ha scritto, un’autrice che se siete amanti del genere storico (e non solo) dovete tenere d’occhio.
Ringrazio moltissimo la Assini, che mi ha dedicato il suo tempo rispondendo alle domande che ho voluto porle per questa intervista e vi auguro buona lettura.

Fonte: https://www.riccichiara.com/

Chi è Adriana Assini nella vita di tutti i giorni e come autrice?

Sono una scrittrice e una pittrice dal lunedì alla domenica, immersa in scartoffie, documenti, libri, colori e pennelli, senza però sottrarmi alle incombenze quotidiane, né rinunciare al mondo degli affetti e dei piccoli piaceri.

Ha sempre voluto fare la scrittrice? Come lo è diventata?

Frequentavo la prima media quando mi cimentai con il romanzo per la prima volta: il risultato fu un autentico polpettone, ma all’epoca non ne ero consapevole. Da allora non ho più smesso di scrivere, ma per molto tempo non ho avvertito né l’esigenza né l’ambizione di pubblicare. Quando, in seguito, è maturata la voglia di veder trasformato in un libro tutte quelle pagine scritte a mano, il desiderio si è esaudito presto grazie al fortunato incontro con una casa editrice interessata al mio genere letterario.

Come si è appassionata così tanto alla storia da volersi dedicare al romanzo storico?

Per secoli la Storia è stata scritta dai vincitori: molto di quanto abbiamo imparato a scuola è vero solo in parte; moltissimo non ci è mai stato raccontato. Studi, ricerche, approfondimenti sul nostro passato portano spesso a scoperte interessanti, fanno insorgere legittimi dubbi su taluni accadimenti del passato, fino a incrinarne, a volte, la narrazione ufficiale. Attraverso il romanzo storico, mi ripropongo di aggiungere alla sua “naturale” funzione, ovvero affabulare istruendo, la possibilità di offrire una diversa versione dei fatti, cercando di rimetterne insieme i pezzi mancanti, come tante tessere di un mosaico, nel tentativo – se non di riscrivere alcune delle pagine più controverse della Storia – di offrire almeno un differente punto di vista. Un mio obiettivo più specifico e mirato è quello di ridare voce ad alcuni personaggi – soprattutto donne – che, per convenienza o per ignoranza, sono stati messi a tacere sotto un cumulo di menzogne, approssimazioni, omissioni e leggende nere.

Da cosa è nato il suo ultimo libro, La spada e il rosario? Quanto ha dovuto documentarsi su questa vicenda?

Il mestiere di chi scrive narrativa storica porta inevitabilmente a consultare una buona mole di documentazione, testi vecchi e nuovi, lettere, saggi, eccetera. È per tali vie che spesso incontro le protagoniste e i protagonisti dei miei romanzi, come è accaduto con Gian Luca Squarcialupo, le cui vicissitudini meritano, a mio avviso, di essere sottratte all’oblio nel quale sono state ingiustamente seppellite per secoli. Trattandosi di un personaggio minore, sapientemente occultato da chi aveva interesse a farne sparire dalla faccia della terra persino la memoria, la ricerca è stata lunga e paziente, dovendo assemblare ogni dettaglio che, seppure minuto, si è rivelato prezioso per ricostruirne quanto più possibile fedelmente la personalità e le fasi della sua breve e tragica vita.

Per i meno ferrati in materia, cosa fa parte della cornice storica reale e cosa è nato dalla sua fantasia?

La mia fantasia si è limitata perlopiù a dare un nome e una personalità alla donna illecitamente amata dallo Squarcialupo, partendo comunque da alcuni dati di fatto che ne rendessero plausibile l’esistenza.

Palermo è un’ambientazione che ritroviamo in più romanzi della sua produzione e, da palermitana, apprezzo molto la sua conoscenza dei luoghi e anche delle tradizioni. Come mai questa predilezione per il capoluogo siciliano?

L’altro mio romanzo parzialmente ambientato a Palermo è Giulia Tofana. Gli amori, i veleni (Scrittura&Scritture, 2017). La storia della Tofana, che si svolge nella prima metà del Seicento, e quella cinquecentesca dello Squarcialupo, mi hanno entrambe colpita per i temi scottanti che accompagnano le loro esistenze e che caratterizzano le epoche in cui vissero. Succedevano già allora fatti straordinari nella bella e torbida Palermo!
L’ambientazione degli altri miei romanzi, i più recenti, spazia dalle Fiandre alla Castiglia, da Parigi a Mantova e a Milano…

C’è qualche elemento ricorrente che contraddistingue le sue storie? Qualcosa che si possa considerare caratteristico della sua scrittura?

Scrivo spesso di donne, più o meno note, per rendere loro un po’ della dignità che le fu negata durante la loro vita, e che non le venne mai restituita, neppure da morte. Ne  Le rose di Cordova narro le vicissitudini di Juana I di Castiglia, troppo frettolosamente passata alla Storia come la Pazza, lei che ebbe il torto di non piegarsi alle volontà degli uomini della sua famiglia e che si macchiò dell’intollerabile colpa di difendere fino allo stremo la corona legittimamente ereditata da sua madre, Isabella la Cattolica. In Giulia Tofana. Gli amori, i veleni sottraggo all’oblio una donna decisamente sui generis: meretrice palermitana bella, povera e sfrontata, Giulia tenta di scampare a un destino infame arricchendosi con lo smercio di un veleno perfetto messo a punto da lei stessa nel retrobottega di una spezieria. in seguito, approdata nella Roma papale, prenderà coscienza dell’ingrata condizione in cui sono costrette a vivere le donne e venderà soltanto a loro la sua micidiale mistura, ovvero a quelle disgraziate che desideravano liberarsi di un consorte odioso e manesco, che non avevano scelto e che non amavano. In Agnese, una Visconti ripropongo la storia di una giovane aristocratica di fine Trecento che avrebbe meritato migliore sorte in vita e un maggiore interesse in seguito, considerando il coraggio e la determinazione di cui diede prova nel difendere la sua famiglia d’origine e il suo personale decoro nel corso dell’infausto matrimonio con Francesco Gonzaga, IV Capitano del popolo di Mantova. Una vicenda tragica ma decisamente istruttiva sulla condizione femminile e sulle tante contraddizioni al suo interno, poiché – a dispetto dell’opinione ancora corrente – non tutte le donne se ne stavano zitte e a testa bassa, neanche in epoca medievale. In Un caffè con Robespierre, la protagonista, Manon, abbraccia con entusiasmo le innovazioni di cui la Rivoluzione francese è paladina, ma questo non le impedisce di interrogarsi con spirito critico e puntare il dito contro il divario tra le promesse e i fatti della politica, soprattutto nei confronti delle donne.

Quali sono le letture a cui si dedica normalmente? 

Leggo molta saggistica: soprattutto arte, critica letteraria e storia. Per il Medioevo, che si tratti di cattedrali gotiche o delle gesta di Riccardo Cuor di Leone, ho un vero e proprio debole.

Quando scrive una storia ha in mente un lettore ideale, qualcuno a cui si rivolge in particolar modo?

No, nessun lettore ideale. Pubblicato il romanzo, spero sempre che arrivi a quelle lettrici e ai lettori che, uniti dalle mie stesse passioni, si possano calare in pieno nella sua trama e addentrarsi agevolmente nella personalità dei protagonisti, lasciandosi coinvolgere dalle loro emozioni, dubbi, ideali, interrogativi. E mi piace pensare poi che queste lettrici e lettori, giunti all’ultimo rigo del romanzo, se ne separino con qualche rimpianto, e che qualcosa di quanto letto e “vissuto” possa rimanere dentro di loro a lungo.

Un buon motivo, secondo lei, per leggere La spada e il rosario?

Mi auguro che, pagina dopo pagina, il lettore veda aprirsi sotto i suoi occhi, una dopo l’altra, tante piccole finestre su un mondo ricco di sorprese, anche amare, e d’interessanti spunti di riflessione. I sentimenti, le aspirazioni, i tradimenti, la corruzione e le delusioni che attraversano l’animo e la storia di Gian Luca Squarcialupo sono esattamente quelli che proviamo noi, a distanza di secoli, e che, nel bene e nel male, animano tuttora la nostra società. Perché il passato non passa, ci vive accanto, fa parte di noi. Basta saperlo riconoscere.

Grazie!


Titolo: La spada e il rosario. Gian Luca Squarcialupo e la congiura dei Beati Paoli
Autore: Adriana Assini
Genere: Romanzo storico
Anno di pubblicazione: 14 febbraio 2019
Pagine: 211
Prezzo: 14 €
Editore: Scrittura & Scritture


Adriana Assini vive e lavora a Roma. Sulla scia di passioni perdute, gesta dimenticate, vite fuori dal comune, guarda al passato per capire meglio il presente e con quel che vede ci costruisce un romanzo, una piccola finestra aperta sul mondo di ieri. Dipinge. Soltanto acquarelli. E anche quando scrive si ha l’impressione che dalla sua penna, oltre alle parole, escano le ocre rosse, gli azzurri oltremare, i luccicanti vermigli in cui intinge i suoi pennelli. Ha pubblicato diversi libri, tutti a sfondo storico, tra cui, nel catalogo di Scrittura & Scritture, i romanzi La spada e il rosario. Gian Luca Squarcialupo e la congiura dei Beati Paoli (2019), Agnese, una Visconti,  Giulia Tofana. Gli amori, i veleni (2017), Un caffè con Robespierre (2016) La Riva Verde (2014) e Le rose di Cordova che dalla sua prima edizione del 2007 ha visto la fortuna di due edizioni successive e tre ristampe.
www.adrianaassini.it

Intervista all’editore | Quattro chiacchiere con Alessio Cuffaro di Autori Riuniti

Poco tempo fa mi è capitato di leggere un libro di una casa editrice che ancora non conoscevo e ho letteralmente scoperto un mondo. A Una Marina di libri ho assistito alla presentazione di questo libro – Il battito oscuro del mondo di Luca Quarin, ma ne parleremo più avanti – e ho anche conosciuto uno degli editori-autori che fanno parte di Autori Riuniti, Alessio Cuffaro. Nei giorni successivi gli ho posto qualche domanda sulla loro realtà editoriale (molto interessante, adesso vedrete perché) e credo sia un ottimo modo per farla conoscere anche a voi che magari non li avete ancora incontrati sul vostro cammino di lettori.
Ecco qui l’intervista, allora, e buona lettura!

Quando e come nasce Autori Riuniti?
Autori Riuniti nasce come idea nell’agosto del 2015. Concretamente verrà alla luce nel maggio 2016, con le nostre prime uscite.
Nasce dall’esigenza che sentivamo, noi fondatori, di creare un progetto che rispecchiasse il nostro sentire comune riguardo la narrativa, il mondo editoriale e i libri e che ci permettesse di mettere a frutto la nostra lunga esperienza maturata negli anni nell’ambito editoriale. Siamo partiti da un’idea molto antica, in realtà: l’autore al centro del progetto, partecipe e responsabile dei processi che portano alla nascita dei libri della casa editrice. Autori Riuniti è quindi l’unica casa editrice interamente gestita da autori.

In base a cosa scegliete i manoscritti da pubblicare tra le varie proposte che vi arrivano?
Come recita uno dei punti del nostro manifesto, cerchiamo soprattutto storie, con vere trame, personaggi che “tengano”, che siano a tutto tondo, vicende che forse solo la letteratura riesce a raccontare. Queste storie devono essere raccontate con stile, con una voce unica e inconfondibile. Sappiamo che non è facile trovare manoscritti che rispondano a queste caratteristiche. Ma per noi la qualità del testo è tutto.

Come ci si divide il lavoro nella vostra casa editrice? Che regole vi siete dati?
Abbiamo un unico vincolo a cui ci atteniamo: nessun autore lavora al proprio testo, ma solo a quello degli altri. Altrimenti intermediazione culturale e qualità sarebbero compromesse.
Le mansioni vengono suddivise di volta in volta: lettura, correzione bozze, editing, grafica, comunicazione, promozione… Ogni autore partecipa alla nascita di un libro di un collega in modi sempre diversi. Noi tre soci fondatori invece abbiamo ambiti su cui ci concentriamo maggiormente.

Quante persone lavorano nel collettivo Autori Riuniti al momento?
Tre soci fondatori, diversi autori, alcuni già pubblicati, altri che pubblicheremo a breve, altri ancora che non pubblicano con noi ma partecipano al progetto perché lo trovano stimolante; abbiamo poi lettori amici, librai, giornalisti, recensori, blogger, semplici curiosi che si interessano, chiedono, propongono. Questo è l’aspetto più affascinante della nostra iniziativa: aver creato una vera casa (editrice) per tutti, aperta a chi voglia dare il suo contributo.

Nel manifesto riportato alla fine dei vostri libri c’è scritto che non avete definito norme tipografiche uniche per tutte le pubblicazioni. Perché?
Riteniamo che non sia l’uniformità nelle norme tipografiche l’elemento decisivo per creare un filo rosso tra i titoli delle collane. È semmai la qualità dei testi, la loro bellezza e originalità, a renderli riconoscibili. I nostri autori si devono sentire liberi di adottare le norme che meglio preferiscono, quelle che sentono più funzionali al loro libro.

Quanta importanza date al web (riviste online, blog, social network) affiancato al vostro lavoro editoriale? 
Tantissima: il web è oggi la vera piazza dove si parla di libri, si leggono in maniera condivisa, si consigliano, si recensiscono, si promuovono. La rete permette il contatto diretto coi lettori, impensabile tempo addietro, e ciò è molto stimolante. Per noi è fantastico conoscere lettori alle fiere o alle presentazioni e poi mantenere con loro un contatto tramite Facebook o Instagram, ricevere riscontri, complimenti e critiche che migliorano sempre il nostro lavoro.

Con che libro è partita la vostra avventura?
Con due titoli: Questo libro si può anche leggere, un’antologia di racconti di 10 scrittori contemporanei (tra cui Zardi, Morandini, Voltolini, Morozzi, Riba…) che è anche un manuale di scrittura, che utilizza i racconti come esempi per illustrare le varie tecniche narrative; e La distrazione di Dio, romanzo di esordio di Alessio Cuffaro che è alla seconda ristampa.

E qual è quello che vi ha dato più soddisfazioni fino ad ora?
L’ultimo uscito: Il battito oscuro del mondo di Luca Quarin. Perché è un libro formidabile, molto ben scritto e suggestivo, che racconta di un’America particolare con precisione e verità. Ma soprattutto perché è stato per noi il sogno (da editori) che si avvera: tra i tanti manoscritti che riceviamo, spesso purtroppo non all’altezza di una pubblicazione, a dicembre dell’anno scorso, troviamo questa perla. Pensavamo fosse uno scherzo di amici editori, tanto ci sembrava incredibile.

Che cosa è “la pagina in più”?
Una pagina che è presente in ogni libro e che è esclusivo appannaggio dell’autore: può riempirla come meglio crede, senza che gli editori mettano bocca. Finora è stata utilizzata per ringraziare, per dare spazio ad opere di altri autori, per inserire elementi della storia che non sono confluiti nel libro ma l’autore riteneva lo stesso di donare al lettore. È una delle varie peculiarità dei nostri libri, insieme al manifesto che illustra il progetto e alla numerazione delle nostre pagine che è decrescente, per segnalare immediatamente al lettore quanto manca alla fine della storia.

Che progetti avete per le prossime uscite?
In questi giorni stiamo definendo le uscite dell’autunno. Senza svelare troppo, possiamo dire che avremo libri d’esordio molto interessanti, aperti alla contemporaneità ma al tempo stesso perfettamente letterari, nonché un’opera collettiva che farà molto discutere…

Grazie mille ad Alessio Cuffaro per la disponibilità e a presto!

“Mia figlia, don Chisciotte” di Alessandro Garigliano e due chiacchiere con l’autore

Come molti di voi sapranno, ho alle spalle tanti anni di studio della letteratura da cui deriva un grande amore per il Don Chisciotte (letto sia in lingua originale che in italiano, e ne prevedo una rilettura a breve), che considero il romanzo per eccellenza, il libro più geniale che sia mai stato scritto. Evidentemente deve pensarla così anche Alessandro Garigliano, che da pochissimo ha pubblicato con NN editore Mia figlia, don Chisciotte, un libro che, come c’era da aspettarsi, mi ha conquistato e che sono contenta di aver letto per diversi motivi.
La storia è quella di un padre quarantenne che non ha il coraggio di dire alla propria bambina di tre anni di essere disoccupato e che quindi ogni mattina indossa il vestito elegante, quello del matrimonio, e finge di uscire per svolgere il lavoro di professore universitario. Ha una grande passione per Cervantes e finisce per interpretare la sua vita alla luce del Don Chisciotte: la figlia è una sorta di Alonso Quijano in miniatura e lui un povero Sancho Panza che la accompagna nelle sue strampalate avventure quotidiane (di cui si racconta nei vari capitoli). È uno strano Sancho il protagonista, però: spesso è combattuto, non sa se assecondare la fantasia della bimba o se riportarla coi piedi per terra, ricordarle i suoi obblighi e farle accettare la razionalità del presente. E vorrebbe proteggerla sempre, magari creando un bunkerino in cui possa non correre rischi.
Ma Mia figlia, don Chisciotte non è solo una raccolta di episodi familiari da cui emerge la tenerezza di un padre (e di una madre, personaggio secondario che poi, in realtà, tanto secondario non è) nei confronti della figlia; è anche un libro pieno di interessanti riflessioni letterarie su Cervantes e non solo, che sono davvero piacevoli da leggere perché la passione con cui Garigliano le ha scritte si percepisce in ogni pagina.

Dopo la lettura ho pensato di porre qualche domanda all’autore, siciliano come me (ma di Misterbianco, dalla parte opposta), che avevo già incontrato durante la presentazione del libro fatta qui a Palermo a fine aprile. Garigliano collabora con i blog minima&moralia e Nazione Indiana e il suo primo romanzo, Mia moglie e io (LiberAria edizioni, 2013), è stato segnalato al Premio Calvino. Ecco qui di seguito una breve intervista.

Da cosa (e quando) nasce la tua passione per il Don Chisciotte?
Da sempre, devo dire. Fino a una certa età ho vissuto con il mito del donchisciottismo, poi, non essendomi mai occupato di altro che di libri, il “Don Chisciotte” di Cervantes è subito diventato un testo totemico: l’origine del romanzo moderno. Paradossalmente ne ho rimandato per anni la lettura, quasi in soggezione, per potermelo godere al meglio accumulando quanta più esperienza possibile, sia letteraria che di vita. Ma non appena è arrivato il momento, non ho più smesso di leggerlo: mia moglie era incinta!

La gestazione di Mia figlia, don Chisciotte è stata lunga e travagliata?
Ho lavorato molto sul testo. Sono una personalità ossessiva, quindi cerco di curare ogni dettaglio. In questo libro, non avendo nessun punto di riferimento per quanto riguarda il genere, ho impiegato parecchio tempo per dare forma alla struttura e per rendere fluido il passaggio tra la parte saggistica e quella narrativa.

Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro?
Niente e tutto, direi. Se l’autobiografia è il genere più falso che esista, allora ho scritto un testo autobiografico.

Ah, Sancio, vorrei gridare, per quali ragioni ricerchi cause, indizi, motivi? Dobbiamo ravvederci, osare, annichilire la ragione inalberando anche noi tracotanza! Subito però mi sento di nuovo braccato dalla prudenza, dando ancora ragione a Sancio. Credo sia giusto accettare il presente per non covare un futuro di frustrazioni a mia figlia. È sempre meglio reprimere la parte utopica, nonostante continui malgrado tutto ad affiorare.

Gran parte dei genitori cerca di limitare la fantasia dei figli per tenerli legati alla realtà e farli restare coi piedi per terra. Il tuo protagonista/narratore, invece, spesso fa proprio il contrario: alimenta e incoraggia l’immaginazione della sua bambina. Quale credi che sia l’atteggiamento più corretto e perché?
Non so quale sia l’atteggiamento più corretto. Credo non esistano confini rigidi tra fantasia e realtà. Bruno Bettelheim diceva che le fiabe sono scritte in quel modo – con cattivi e buoni, tinte fosche, violenza e immaginazione – perché il mondo interiore dei bimbi è esattamente fatto in quel modo. E la stessa cosa possiamo dire dei miti: non sono che proiezioni di mondi interiori appartenenti da sempre all’essere umano. E ancora: quando di notte rielaboriamo ciò che abbiamo vissuto di giorno, con una grammatica totalmente diversa, non stiamo “fantasticando”, stiamo semplicemente continuando a interpretare la realtà.

La moglie del protagonista è una figura che parte un po’ in sordina ma acquista sempre più rilievo. Credi che anche lei possa corrispondere a qualche personaggio del capolavoro di Cervantes?
Per me la moglie è un personaggio centrale perché incarna sia don Chisciotte che Sancio Panza.

Mia figlia, don Chisciotte, oltre ai racconti familiari di unapadre, una madre e una figlia, raccoglie tante interessanti pagine di critica letteraria, non solo su Cervantes. Pensi che questo possa stimolare ulteriormente chi ti legge alla critica e che possa far scoprire Don Chisciotte a chi ancora non lo ha affrontato?
Ho iniziato a scrivere il mio testo perché esasperato da chi crede sia importante solo cosa c’è scritto in un libro, il contenuto della storia, senza porre la dovuta attenzione a come il libro è scritto. Per me, invece, non si dovrebbe trascurare niente: il contenuto, certo, ma anche la lingua, le coordinate temporali e spaziali, la trama (che non deve limitarsi a riprodurre lo svolgersi di percorsi di genere triti e ritriti, ma reinventarsi incessantemente), il montaggio eccetera. E allora, nel mio “Don Chisciotte”, ho provato a raccontare anche come è stato scritto il capolavoro di Cervantes: con quali intuizioni, improvvisazioni e rigore; e anche il modo in cui dialoga con i testi del passato e con quelli del futuro. Approfittando soprattutto del fatto che il “Don Chisciotte” di Cervantes è considerato da molti l’origine del romanzo moderno.

Leggendo il tuo romanzo viene da pensare che molte volte la vita e la letteratura si fondano fin quasi a coincidere. Sei d’accordo con chi dice, in fin dei conti, letteratura e vita sono un po’ la stessa cosa?
Su Letteratura e vita, in Mia figlia, don Chisciotte, ho scritto un intero capitolo (il quinto, intitolato: “Che tratta di mia figlia, Proust e Cervantes”). Non ho molto da aggiungere. Credo che dipenda da cosa si intenda per vita e cosa per Letteratura. Esistono libri mediocri, che somigliano alla più sconfortante quotidianità e vite talmente scontate da poterci scrivere romanzi di genere.

Grazie mille ad Alessandro Garigliano per la disponibilità e la gentilezza.
Buona lettura!

Titolo: Mia figlia, don Chisciotte
Autore: Alessandro Garigliano
Genere:
 Romanzo 
Anno di pubblicazione:
 2017
Pagine: 234
Prezzo: 16 €
Editore: NN editore

Giudizio personale: spienaspienaspiena

Breve intervista a David James Poissant, autore de “Il paradiso degli animali” (NN Editore)

Lo scorso 10 settembre ho partecipato all’incontro alla libreria Modusvivendi di Palermo con David James Poissant, autore de Il paradiso degli animali, pubblicato lo scorso anno da NN Editore e recensito da me QUI. A dialogare con lui c’erano alcuni membri del circolo di lettura relativo alla libreria (Il ModusClub), i quali hanno fatto emergere gli aspetti più interessanti del libro in relazione anche al lavoro dello scrittore. Ma dopo averlo conosciuto mi sono venute in mente tante altre domande che avrei voluto fargli – molte delle quali forse gli avrebbero posto gli stessi intervistatori se il tempo a disposizione fosse stato illimitato, non so – e per fortuna la squadra di NN me ne ha dato la possibilità facendo da tramite fra me e lui.
David James Poissant – Jamie, come si presenta lui – è una persona estremamente carina che stringeva la mano a chiunque entrasse in libreria (pure a me che sono rimasta imbambolata) dicendo «Hi, I am Jamie!» e che ha parlato dei suoi racconti con serietà ma anche con grande ironia. Se quando mi trovo a fare domande ad un autore mi soffermo, com’è ovvio che sia, su qualche aspetto della sua opera, quello che più m’interessa è, di solito, la sua personalità, i motivi per cui ha compiuto determinate scelte o il modo in cui lavora. A chi non viene voglia, terminato un libro, di fare quattro chiacchiere con chi lo ha scritto per conoscerlo meglio? A me succede quasi sempre.

Ma bando alle ciance! Se non lo avete fatto vi consiglio ancora (e ancora) di leggere Il paradiso degli animali, soprattutto in attesa del romanzo che nel frattempo Poissant sta scrivendo perché… be’, leggete questa piccola intervista fino alla fine!

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Fonte: http://www.simonandschuster.ca/

Il tuo percorso da scrittore è cominciato coi racconti, che a mio parere sono molto difficili da scrivere: dovendo concentrare la storia in poche pagine, il rischio di non dire nulla e di combinare disastri è altissimo. Come mai hai deciso di lanciarti proprio sui racconti, ottenendo tra l’altro un gran risultato? Sono più nelle tue corde?
I racconti in un certo senso sono il mio forte! Se hai ragione quando dici che la posta in gioco è alta e le storie sono difficili da azzeccare, i rischi sono minori in termini di tempo trascorso per ogni pezzo finito. Se lavoro su una storia per un mese e poi non funziona, ho solo buttato via un mese. Se lavoro su un romanzo per due anni e non funziona, be’, è un sacco di tempo perso. (Non sto dicendo che il tempo passato a scrivere sia sprecato, non lo è mai. La scrittura t’insegna la resistenza, il problem-solving, ecc.. Ma di sicuro può essere doloroso passare moltissimo tempo su una cosa che poi non funziona.) Quindi, all’inizio, penso di essermi dato ai racconti perché i romanzi sembravano troppo grandi, troppo lunghi. Poi mi sono innamorato della tortuosità della storia, del modo in cui ogni parola ha una sua importanza. Adesso sto lavorando a un romanzo ed è un tipo diverso di sfida. Amo entrambe le forme narrative, ma il racconto sarà sempre il mio primo amore.

Molti autori hanno idee contrastanti sul rapporto tra verità e finzione: alcuni raccontano cose che conoscono davvero o di cui hanno sentito parlare; altri, invece, inventano di sana pianta. Per quanto riguarda le tue storie ti sei ispirato ad eventi reali?
Il mio motto è: scrivi ciò che ti spaventa. Le mie storie non sono autobiografiche. Alcune attingono leggermente a cose che ho visto succedere ad amici. Ma per per la maggior parte sono inventate. Penso alle cose di cui ho più paura (la morte di una persona amata, la morte di un bambino, la fine di un matrimonio, la fine dell’amore), e scrivo in quella direzione. A volte penso che quest’abitudine sia un po’ superstiziosa, come se, scrivendo di tutte le cose brutte, poi queste non potessero accadere a me nella vita reale. Ma quando devo creare le ambientazioni nelle mie storie o nel mio romanzo, esse sono basate su luoghi reali e vite reali. Non posso inventare scenari di sana pianta. Studio meticolosamente i luoghi, li visito, o cerco di ricordare posti in cui sono stato, e metto personaggi fittizi dentro questi posti reali, se ha senso.

I tuoi personaggi non sono persone particolarmente importanti, ci parli di gente normale che affronta cose più o meno normali ma terribili, eventi possibili e verosimili che possono toccare tutti, ma che nessuno di noi vorrebbe mai affrontare. Perché hai scelto di raccontare proprio il lato tragico della vita? È un modo per esorcizzare il male?
Sì, è quello che penso. Scrivo del male per tenerlo a bada. Scrivo di persone comuni in circostanze comuni perché credo che ognuno meriti che la sua storia venga raccontata.

Nei racconti de Il paradiso degli animali gli animali sono sia un pretesto per scatenare emozioni che la rappresentazione simbolica delle emozioni stesse. Durante un incontro coi lettori hai detto che prima pensi alla storia e in un secondo momento decidi quale animale attribuire a quella determinata situazione. In base a cosa crei questi abbinamenti?
Non sono sicuro di avere sempre il pieno controllo quando scrivo una storia! Quando scrivo bene, i personaggi sembrano muoversi e parlare per loro libera scelta. È come se sognassi ad occhi aperti. Per questo motivo, con questo libro, ho trovato spesso gli animali che passeggiavano dentro e fuori dalle storie. Ad eccezione de L’uomo lucertola e L’ultimo dei grandi mammiferi terrestri, non credo di aver scelto coscientemente di abbinare un particolare animale ad una storia. Loro semplicemente ci passeggiano dentro, facendo le fusa o ringhiando, spesso quando meno me li aspetto.

Fonte: https://twitter.com/nneditore/

Con altri lettori mi trovo spesso a riflettere sull’atteggiamento degli autori durante le presentazioni. Chi viene da fuori è sempre gente alla mano, amichevole, disponibile e soprattutto molto umile; sto pensando, ad esempio, a Peter Cameron, a Jenny Offill e anche a te che hai accolto allegramente chiunque entrasse in libreria. Molti degli scrittori italiani (e per fortuna non tutti!), invece, si comportano spesso da intellettuali e appaiono un po’ snob. In America si dà un significato diverso all’essere scrittore? Come ci si pone nei confronti del pubblico?
Ci sono alcuni scrittori americani lì fuori che sono un po’ meno amichevoli, ma la maggior parte di noi è gradevole, almeno per quanto riguarda la mia esperienza. In un mondo che passa più tempo a guardare la TV che a leggere libri, penso che la maggior parte di noi sia grata di avere dei lettori. Io so di esserlo!

Come lavora David James Poissant? Dove e come scrive? Ma soprattutto, scrive quando c’è l’ispirazione o si mette d’impegno ad elaborare idee?
Se scrivessi solo quando mi sento ispirato, di rado scriverei qualcosa! Penso alla scrittura, invece, come ad un lavoro, e provo a presentarmi al lavoro quasi tutti i giorni. Mi siedo a scrivere e spero che la Musa si faccia viva. Scrivo meglio la mattina prima che le email e altre voci si inseriscano e confondano il mio cervello impegnato con la scrittura, se rendo l’idea. Scrivo quasi tutti i giorni per quattro ore al giorno, e compongo sul portatile.

Ultima domanda. Sappiamo che stai scrivendo un romanzo e, dato che già ci hai conquistati con Il paradiso degli animali, siamo ansiosi di leggerlo. Ci puoi dare qualche anticipazione? Che cosa dobbiamo aspettarci?
Il paradiso degli animali contiene due racconti collegati, Diagramma di Venn e Sveglia il bambino. Raccontano la storia di Richard e Lisa Starling, una coppia che perde un figlio piccolo. Il romanzo ha inizio trent’anni dopo. Richard e Lisa adesso hanno due figli. La famiglia si riunisce per un’ultima settimana alla casa al lago prima che la casa venga venduta e che Richard e Lisa se ne vadano in Florida. I figli hanno idee diverse sulla vendita della casa. È un romanzo che parla di famiglia, amore, sesso, segreti, e di tre matrimoni molto diversi.

Adesso non ci resta che aspettare questo nuovo romanzo. Io gongolo perché, in effetti, i racconti da cui prende spunto sono quelli che ho preferito nella raccolta.
Grazie a Jamie Poissant per avermi concesso un po’ del suo tempo e a NN Editore!