L’ultimo rais di Favignana. Aiace alla spiaggia | Massimiliano Scudeletti

Dopo le polemiche sulla chiusura della storica tonnara di Favignana, a causa della scarsità di pescato (sole 14 tonnellate di tonni, con una richiesta di 100), il 5 luglio è uscito in libreria un volume che vede come protagonista una delle figure più importanti di Favignana stessa, ma di tutta la Sicilia e sì, anche dell’Italia: Gioacchino Cataldo. L’editore Bonfirraro ha pubblicato L’ultimo rais di Favignana. Aiace alla spiaggia di Massimiliano Scudeletti quasi come a voler glorificare una personalità che ha dato così tanto alla sua isola che è quasi diventato una figura mitica. Gioacchino Cataldo è scomparso il 21 luglio del 2018, quando qualche tempo prima era addirittura stato inserito nel Registro Eredità Immateriali (Intangible Cultural Heritage secondo il protocollo Unesco) come “Tesoro umano vivente” per la sua conoscenza della tonnara. Nel romanzo è presente anche un mémoir del giornalista Carlo Ottaviani che sul lavoro di Scudeletti dice: «Queste pagine sono sì un romanzo della vita di un uomo non comune, ma anche la storia di una intera comunità nell’evolversi di più stagioni. Irripetibili e quindi prezioso documento».

Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando iniziamo col dire che rais in arabo e turco significa “capo” e, mentre in epoca ottomana stava ad indicare il capitano di bastimento, nelle tonnare siciliane definisce chi dirige l’organizzazione tecnica e comanda gli uomini addetti alle operazioni di pesca. Normalmente quest’ultimo è un incarico che si è trasmesso di padre in figlio, ma non è sempre stato così. Il rais – Gioacchino Cataldo ne è stato l’ultimo esempio – è una persona che deve essere dotata di grande personalità e autorità, di sensibilità alle condizioni del mare e intraprendenza; è una persona che deve sapere quando è il momento di agire e deve capire rapidamente come farlo. Il raissato è mito, dice qualcuno, e sembra essere proprio così, dato che, senza andare troppo indietro, Cataldo era una persona ammirata da tutti, di grande impatto.

[Fonte: SicilyMag]

Scudeletti però indietro ci va e ci racconta anche chi sono stati gli altri rais fin dal 1941, facendoci vedere anche come, insieme a loro, è cambiata e si è evoluta la storia di un popolo intero per cui la mattanza era fonte di guadagno e che anzi considerava questa pratica un vero e proprio rito. Sono cambiate tante cose negli anni, alla fine sono perfino arrivati i giapponesi a prendersi questi tonni con l’incalzare della moda del sushi e delle nuove tendenze. Ma quella di cui parliamo non è una biografia, Scudeletti fa parlare lo stesso Cataldo e permette a noi lettori di entrare nella sua anima, di vedere cosa deve aver provato vedendo la modernità che travolge il sogno e la tradizione, cosa deve aver significato per una persona come lui essere l’ultimo – senza speranza alcuna che poi un altro gli succedesse – detentore di una saggezza legata al mare. Quando è scomparso la sua Favignana lo ha pianto a lungo, e non solo lei.

Apprezzo moltissimo il lavoro che con questo libro Bonfirraro ha fatto soprattutto per mantenere vivo il legame con la sua terra, la Sicilia, e anzi cercare di portar fuori dai nostri confini d’isola una cultura e una tradizione che forse in altri luoghi sono sconosciute. Confesso che anch’io – anche se non ne ero completamente all’oscuro – non sapevo troppo del raissato, della mattanza o delle cialome, ma mi è servito tanto e credo servirà a molti altri affinché queste leggende, queste figure quasi mitologiche rimangano nella memoria di tutti.

Titolo: L’ultimo rais di Favignana. Aiace alla spiaggia
Autore: Massimiliano Scudeletti
Genere: Romanzo/Biografia
Anno di pubblicazione: 5 luglio 2019
Pagine: 176
Prezzo: 16,90 €
Editore: Bonfirraro


Massimiliano Scudeletti – Dopo gli studi si dedica alla realizzazione di documentari e spot televisivi prima come sceneggiatore, poi come regista. Nel passaggio tra analogico e digitale abbandona l’attività e si ritira a gestire un’agenzia assicurativa che opera prevalentemente nella comunità cinese. Continua a viaggiare nel Sud-Est asiatico. Compiuti i cinquant’anni, decide di lasciare il mondo assicurativo per dedicarsi completamente alla cultura tradizionale cinese e alla scolarizzazione di adulti immigrati. A febbraio 2018 pubblica il suo primo romanzo Little China Girl con protagonista Alessandro Onofri. Little China Girl ha vinto il premio Emotion al Premio letterario città di Cattolica 2019. È stato finalista al premio Tramate con noi di Rai Radio1. Nel giugno 2019 è uscito Dove erano le isole in collaborazione con Paolo Ciampi e Arnaldo Melloni. L’ultimo rais di Favignana, Aiace alla spiaggia è il suo ultimo romanzo.

Elizabeth Jane Howard. Un’innocenza pericolosa | Artemis Cooper

Non poteva liberarsi della sensazione
che stare da sola fosse la prova di un fallimento,
della propria incapacità di far funzionare un rapporto d’amore,
indipendentemente da quanto spesso ci provasse.

 

Più volte ho ammesso di essere una grande fan di Elizabeth Jane Howard e soprattutto della sua fortunatissima saga dei Cazalet e per questo motivo, dopo molto tempo, ho deciso di leggere la biografia dell’autrice a cura di Artemis Cooper che Fazi ha pubblicato qualche anno fa e che ho ricevuto in regalo nello scorso Secret Santa organizzato da un gruppo di lettura che seguo. Quando uno scrittore ti piace così tanto è interessante conoscerlo meglio, capire come è arrivato a scrivere quello a cui ti sei appassionato, capire quanto c’è di quell’autore nei suoi personaggi, nelle sue storie e nella sua produzione in generale. È esattamente questo, infatti, che è accaduto leggendo Un’innocenza pericolosa, il racconto delle vicende personali di Jane Howard: ho scoperto ad esempio che le tre primogenite dei Cazalet, Louise, Polly e Clary sono tre sfaccettature della personalità dell’autrice: quella più libera e artistica, quella più legata alla casa e agli affetti, e la scrittrice sognatrice; ho scoperto che Viola Cazalet è Kit Somervell, la madre di Jane, ex ballerina che abbandona il sogno di una vita a favore del matrimonio e della famiglia; ho scoperto che Edward Cazalet è David, il padre di Jane, così confuso dalla figlia che cresce da arrivare a metterle le mani addosso. Ma non solo la saga, una parte di lei è anche in Cressy di All’ombra di Julius, anche gli altri romanzi sono basati molto sull’esperienza personale della Howard, su tutto quello che le è accaduto durante la sua lunga vita.

È stata una donna che emanava fascino ovunque andasse, gli uomini si innamoravano di lei al primo sguardo, intorno a lei gravitavano personalità di rilievo nell’ambito della cultura, poteva avere tutto ciò che voleva, eppure ha vissuto una vita all’insegna dell’infelicità. Si è sposata tre volte, l’ultima delle quali con Kingsley Amis (Martin, il suo figliastro è diventato ciò che è oggi proprio grazie a lei che si è interessata alla sua istruzione, e lo scrive in un articolo sul Mail on Sunday dopo la sua morte), ha avuto altre relazioni anche con uomini sposati che non l’hanno mai messa in cima alle loro priorità, non ha mai incontrato qualcuno che accettasse ogni parte di lei o che almeno, a lungo andare non se ne stancasse. È stata perfino vittima, ormai anziana, di un matto che l’ha sedotta facendole credere di essere tutt’altra persona. E nonostante tutti i problemi che ha avuto nei rapporti con i familiari e nelle relazioni amorose, stupisce quanto invece nei libri riesca ad essere lucida e a descrivere in maniera perfetta certe dinamiche sentimentali: di certo aveva una sensibilità spiccata, ma di fatto forse era più brava nella teoria che nella pratica.

Quando ho cominciato a fare le ricerche per questo libro, c’era sempre una domanda che continuavo a pormi: una donna che scrive così bene dell’amore e dell’inganno, e che nei propri romanzi coglie con tanta lucidità le motivazioni dei personaggi, come può commettere tanti errori nella sua vita personale? Adesso capisco che questa domanda metteva il carro davanti ai buoi. Era il suo vivere con questa estrema intensità emotiva; il suo buttarsi a capofitto nelle situazioni senza valutarne i rischi; il suo non riuscire a controllare la propria immaginazione impulsiva: tutto ciò faceva di Jane la romanziera che era.

Elizabeth Jane Howard è morta nel 2014, ma ci ha lasciato moltissimi romanzi, alcuni dei quali abbiamo letto, altri invece li scopriremo piano piano (mi è giunta voce che stiano lavorando a una sua nuova traduzione, io devo ancora recuperare Il lungo sguardo). Una cosa sicura è che è stata sottovalutata per molto tempo, la cosa più semplice che accada a una come lei è essere scambiata per “la donna che scrive romanzi da donne” quando invece si tratta di una persona che ha un particolare talento per l’introspezione e, invece di scrivere romanzi che abbiano la Storia al centro di tutto, si dedica a scrivere libri in cui al centro ci sono delle persone e il modo in cui reagiscono alla Storia e al cambiamento. Era una donna che voleva un giardino curato e una casa sempre piena di ospiti, non voleva stare da sola, perché forse, nonostante fosse una donna alta, imponente e un personaggio culturalmente importante, non è mai riuscita a sentirsi così forte da non appoggiarsi a nessuno, da non sentire il bisogno di essere amata per esistere.

Questi sono solo alcuni dei motivi per approfondire una figura così importante e affascinante, e il libro non appare affatto come un mucchio di testimonianze e appunti affastellati uno sull’altro, ma sembra proprio il romanzo della vita di Jane Howard. Se poi avete già letto qualcosa di suo, oltre ai suoi libri inizierete ad amare anche lei.
Buona lettura!

Titolo: Elizabeth Jane Howard. Un’innocenza pericolosa
Autore: Artemis Cooper
Traduttore: Franca Di Muzio e Nazzareno Mataldi
Genere: Biografia
Anno di pubblicazione: 2017
Pagine: 457
Prezzo: 18,50 €
Editore: Fazi


Artemis Cooper – È autrice di diversi libri, fra cui Cairo in the War, 1939-1945, Writing at the Kitchen Table: The Authorized Bio- graphy of Elizabeth David e, più di recente, Patrick Leigh Fermor: An Adventure. Con il marito, Antony Beevor, ha scritto Paris After the Liberation, 1944-1949. Ha curato due raccolte di lettere oltre a Words of Mercury, un’antologia dell’opera di Patrick Leigh Fermor; e, con Colin Thubron, ha curato The Broken Road, volume conclusivo della trilogia europea di Fermor.

L’ambasciatore delle foreste | Paolo Ciampi

Comincia così la storia dell’uomo che amerà gli alberi.
Alberi, scriverà un giorno,
che saprà considerare persone, non cose.
Più di quanto ci riesca io.

 

Se c’è un genere a cui mi dedico di rado, ma che mi dà sempre grandi soddisfazioni, questo è la biografia. Sono convinta che dietro l’idea che ci si fa di un personaggio a partire dal suo operato, dal suo ruolo nella storia o da ciò che decide consapevolmente di far vedere alla società, ci sia tanto altro. Ma questo “altro” da dove può venir fuori per permetterci di conoscere meglio una persona? Diari, lettura attenta di ciò che ha scritto (se è uno scrittore), connessioni tra i luoghi in cui ha vissuto o l’importanza delle battaglie che, metaforicamente, ha combattuto. È così che Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, tira fuori dal dimenticatoio per alcuni e fa scoprire ad altri la figura di George Perkins Marsh, uno che potremmo descrivere come ecologista ante litteram, un uomo curioso e così versatile da lanciarsi spesso in iniziative di scarso interesse che non lo hanno portato a nulla. Ma che in altri casi ha saputo fare la differenza.

Cos’è che ha fatto di noi quello che siamo? Quali e quante parti ci compongono?
Discendiamo da parole, gesti, sguardi. Siamo eredi di istanti che abbiamo vissuto e di cui a volte non siamo nemmeno consapevoli. O di cui diveniamo consapevoli solo da un certo punto in poi: e che almeno non sia troppo tardi.

George Perkins Marsh (Woodstock, 15 marzo 1801 – Vallombrosa, 23 luglio 1882)

L’ambasciatore delle foreste, edito da Arkadia editore qualche mese fa (nella collana Senza rotta curata da Luigi Preziosi e Marino Magliani), nasce dopo che Ciampi legge un libro, datogli anni prima da un amico, in cui Marsh parla degli effetti che una gestione sbagliata delle risorse da parte dell’uomo può avere sul nostro pianeta. Ciampi vuole capire chi era quest’uomo vissuto nell’Ottocento che già trattava argomenti che oggi sono caldissimi, ma non sa da dove partire. Definirlo “ambasciatore, intellettuale, ecologista” sarebbe sbrigativo, sembrerebbe l’occorrente per una lapide. Quindi – senza neanche sapere come cominciare per introdurre un tale personaggio – decide di raccontarci da dove è partito, chi era la sua famiglia, come è arrivato a essere chi era. Nato a Woodstock nel 1801, quando ancora la città non era famosa per il concerto, studiò e diventò avvocato, ma si applicò sempre a qualsiasi cosa potesse suscitare la sua curiosità, arrivò perfino a pubblicare un volume sui cammelli e a occuparsi di linguistica, di finlandese, norreno o islandese. Si sposò, ebbe due figli, perse la moglie e un figlio, e poi si risposò con un’altra donna che lo amò molto e che condivise con lui molte delle sue battaglie.
Ambasciatore lo fu davvero, per gli Stati Uniti in varie parti del mondo, con un mandato riconfermato più volte da più presidenti; e lo fu anche nell’Italia che era appena nata dopo l’unificazione. Visse nel nostro Paese per molto tempo e lo amò tantissimo, ne amava proprio il territorio, le montagne, i boschi, che guardava con il suo occhio da ecologista e non da semplice ammiratore. Faceva lunghe camminate fino a quando fu troppo vecchio per certi passaggi impervi e certe distanze, ma non si arrendeva perché sentiva che quei luoghi erano il suo paradiso.

Sarà sempre così nella sua vita, intendo, nel suo lavoro di parlamentare o di diplomatico. Un acrobata in precario equilibrio. Sospeso tra la voglia di dare il meglio di sé e la voglia di fare altro. Non di non fare niente, ma di fare altro.

Ed è proprio la sua permanenza in Italia e, nello specifico, a Firenze, che lo rende così vicino a Paolo Ciampi, il quale scrive questo libro quasi a volerne celebrare il lato umano mettendo da parte quello da diplomatico. In quello che appare come un lungo dialogo col lettore, l’autore racconta di un uomo stravagante che mentre incontra i reali o le alte cariche dello Stato, mentre cioè conduce l’esistenza di un ambasciatore, si preoccupa di salvare le foreste, di creare parchi o di come portare i cammelli nelle praterie degli Stati Uniti. E proprio perché non si tratta di una biografia da manuale, il punto di forza de L’ambasciatore delle foreste è il modo di Ciampi di trasmetterci la sua ammirazione nei confronti di Marsh senza mai diventare troppo serio o didascalico.
Secondo alcune voci potrebbe essere uno dei possibili candidati al Premio Strega 2019. Staremo a vedere. Nel frattempo, buona lettura!

Titolo: L’ambasciatore delle foreste
Autore: Paolo Ciampi
Genere: Biografia
Anno di pubblicazione: 2018
Pagine: 158
Prezzo: 14 €
Editore: Arkadia


Paolo Ciampi – Giornalista e scrittore fiorentino, Paolo Ciampi ha lavorato per diversi quotidiani e oggi è direttore dell’Agenzia di informazione e comunicazione Toscana Notizie. Si divide tra la passione per i viaggi e la curiosità per i personaggi dimenticati nelle pieghe della storia. Ha all’attivo oltre venti libri con diversi riconoscimenti nazionali e adattamenti teatrali. Gli ultimi, in ordine di pubblicazione, sono L’uomo che ci regalò i numeri (Mursia) che racconta i viaggi e le scoperte del matematico Leonardo Fibonacci, L’Olanda è un fiore. In bicicletta con Van Gogh, finalista del Premio Albatros – Città di Palestrina, e due libri che raccontano cammini, Tre uomini a piedi (Ediciclo) e Per le Foreste sacre (Edizioni dei Cammini). Con Tito Barbini è uscito per Clichy con I sogni vogliono migrare. È molto attivo nella promozione degli aspetti sociali della lettura e partecipa a numerose iniziative nelle scuole.

A Napoli con Totò | Loretta Cavaricci ed Elena Anticoli de Curtis

Insomma,
ero un buffone serissimo che maschera la ragione da follia
e la follia da ragione.

 

Ho sempre avuto una grande passione per la figura di Totò, un uomo che ha fatto ridere intere generazioni di persone ma che le ha anche fatte riflettere con una comicità spesso apparentemente priva di logica ma molto sottile. A me ha sempre dato l’impressione di una persona che interiormente non fosse così allegra – di solito chi fa questo mestiere è molto diverso da come appare sullo schermo o a teatro. “Il principe della risata” nacque e crebbe nel rione Sanità di Napoli come scugnizzo in condizioni disagiate, frutto di una relazione clandestina tra Anna Clemente e Giuseppe De Curtis (che lo riconobbe solo nel 1921), e poi fu adottato nel ’33 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas di Tertiveri, da cui ereditò il titolo di marchese e vari altri titoli nobiliari. Credo che, date le tante stroncature che gli arrivarono in vita, la sua fama aumentò moltissimo dopo la morte nel 1967 tanto da farlo diventare quella figura immortale che è al giorno d’oggi.

Ma Totò – questo il nomignolo che gli affibbiò la madre da piccolo e che diventò il suo nome d’arte – è sempre stato il simbolo di una città: non esisteva senza Napoli e non si può pensare a Napoli senza di lui. È un personaggio completamente inserito in un contesto cittadino lontano dal quale perderebbe significato. Per questo motivo mi sono incuriosita tantissimo quando sono venuta a sapere che Giulio Perrone avrebbe pubblicato un libricino, A Napoli con Totò, nella collana Passaggi di dogana, dedicata alla scoperta di varie città attraverso la vita di persone celebri. In quest’opera, a cura della nota giornalista Loretta Cavaricci e di Elena Anticoli de Curtis (come si evince dal cognome, è la nipote di Totò, figlia di Liliana). L’ho letto già da un bel po’ ma per vari motivi non sono riuscita a parlarne prima, anche se avrei voluto farlo intorno al giorno in cui è uscito.

Il libro esce nel 2018 esattamente a 120 anni dalla nascita di Antonio de Curtis, e rappresenta un viaggio per il capoluogo campano in compagnia del principe della risata. Si tratta di una passeggiata con Totò nei suoi luoghi privati, ma anche in quelli dove si faceva vedere pubblicamente, un modo di ripercorrere la sua vita attraverso gli scorci di una città che si identifica in lui. Esploriamo i luoghi in cui ha girato alcuni film, o quelli dove giocava da bambino, o ancora quelli in cui, ormai ricco e famoso, passava a lasciare una banconota sotto la porta di chi era meno fortunato (questo, ve lo confesso, quando l’ho saluto anni fa ho sentito il cuore che mi si scioglieva). Visse la sua vita a Roma, ma andava spesso nella città in cui era cresciuto, tanto che alla morte furono celebrati tre funerali, due dei quali a Napoli (uno ufficiale, l’altro nel rione Sanità, mentre il primo fu nella capitale). E Napoli gli ha restituito tutto l’affetto che lui le diede in vita.

Santo Totò lo chiamano. Chi va a trovare i cari defunti, passa pure da lui, è una questione di rispetto, dicono.

Non vi dico altro di questo libro che, se siete amanti di Totò e di Napoli, dovete assolutamente leggere, perché va scoperto pagina per pagina. In copertina c’è il simbolo di questo personaggio, la sua bombetta, che fu anche poggiata sulla bara il giorno del funerale. Mentre una cosa molto carina di quest’opera è che, dietro, una parte della bandella si stacca per ricavarne un segnalibro con le bombette.

Vi ho incuriosito?
Buona lettura!

Titolo: A Napoli con Totò
Autore: Loretta Cavaricci, Elena Anticoli de Curtis
Genere: Letteratura di viaggio, biografico
Anno di pubblicazione: 4 ottobre 2018
Pagine: 143
Prezzo: 12 €
Editore: Giulio Perrone editore

 

«Forza, coraggio,
adesso cominceremo a visitare le bellezze di Napoli,
piano piano…
Ladies and gentlemen,
si prega di agganciarsi le cinture e di non fumare».

(dal film Totò a Napoli)