La casa dei delfini | Audrey Schulman

Negli anni Sessanta, la giovane Margaret Lovatt partecipò a un progetto nelle Isole Vergini finanziato dalla NASA e diretto dal professor Lilly che mirava a insegnare ai delfini il linguaggio umano – a parlare in inglese, nello specifico. Questo, sfruttando la grande intelligenza di questi cetacei. La ragazza doveva vivere con queste creature in una specie di casa riempita d’acqua per insegnare loro a parlare, ma l’esperimento non andò come previsto e la cosa fece scalpore, se ne parlò praticamente ovunque (non entro nei dettagli, ma potete trovare tantissimi articoli sul web digitando anche solo il nome di Margaret nella casella di ricerca). Ma quel progetto, probabilmente, sarebbe naufragato comunque, dato che il dottor Lilly si interessò più all’LSD e agli allucinogeni, che voleva perfino somministrare agli animali, usando tecniche che oggi riterremmo aberranti. E all’epoca i movimenti animalisti non venivano presi in considerazione come oggi.
A questa vicenda realmente accaduta si è ispirata Audrey Schulman, che ha scritto La casa dei delfini, uscito lo scorso 15 giugno per edizioni e/o nella traduzione di Silvia Montis.

Protagonista della storia è Cora, una ragazza sorda e dai tratti esotici che viene assunta dal professor Blum e dai suoi assistenti per studiare i delfini. Se in un primo momento le viene chiesto di segnare tutto ciò che fanno gli animali e a che ora lo fanno, poi i tre uomini si accorgono che i delfini si sono affezionati a lei, l’hanno accettata e addirittura si fidano di lei. Per questo motivo, cercano di osare di più, cioè di utilizzare lei per insegnare ai cetacei a comprendere e poi a parlare il linguaggio umano. Prima Cora prova con tutti e quattro i delfini nel centro di ricerca e poi viene deciso che andrà a vivere in una sorta di casa-acquario insieme a uno di loro Junior, quello che sembra il più piccolo e quindi quello che potrebbe apprendere in maniera più semplice. L’esperimento procede e Cora ha un rapporto sempre più stretto con questi meravigliosi animali, ma a un certo punto qualcosa va storto e Cosa si trova a dover salvare sia i delfini che se stessa da un enorme scandalo.

Margaret Lovatt e Peter

Se la vicenda generale si ispira quasi completamente a quella reale in cui era coinvolta la Lovatt, Margaret e Cora sono due persone diverse. A Cora vengono aggiunti dei tratti esotici e la sordità, che nell’economia del romanzo risulterà molto utile nella comprensione profonda che instaurerà con i delfini (pensiamo a quanto può essere suggestiva un’interazione fra un animale che non parla la lingua umana e una donna che non può sentirlo). Lei ha perso l’udito quando era piccola e per questo – ma anche per altri motivi di cui parleremo dopo – ha sempre avuto delle difficoltà a relazionarsi con gli altri umani. Immergendosi in acqua, però, si rende conto di riuscire a sentire meglio i versi dei cetacei, perché non avverte tanto i suoni quanto le vibrazioni che essi emanano e che si riverberano nell’acqua. Lei riesce a diventare la loro unica amica, l’unica ancora di salvezza dagli scienziati a cui interessa solo aprire loro il cranio con un trapano e poi ributtarli in acqua terrorizzati. A un certo punto, però, Cora percepisce quasi di non far più parte della “squadra” umana, si sente un mero strumento di ricerca, quella che viene usata per raggiungere lo scopo. Tranne quando si tratta della sua fisicità, perché il rapporto della ragazza con il genere maschile non è mai stato sereno: viene guardata, esaminata, quasi molestata, com’è sempre accaduto nella sua vita (per questo è un romanzo che parla anche di femminismo e corpo femminile).
Lei, per riuscire ad avere il controllo di ciò che sta facendo, deve riuscire a essere più di loro, quindi studia, si informa, deve stupirli, deve far capire a Blum e agli altri scienziati che non è lì semplicemente per eseguire degli ordini. E il modo in cui finirà l’esperimento sarà proprio la conferma del fatto che è andata oltre e che il comando, in fondo, lo ha avuto lei.

In generale Cora preferiva stare sott’acqua. Lì almeno vedeva con chiarezza cosa stava succedendo. I delfini l’accettavano senza commenti, studiandola incuriositi. Erano volatili eleganti e muscolosi che planavano nell’acqua scintillante, avvitandosi o scendendo in picchiata.

La casa dei delfini è un romanzo molto interessante che inizia quasi in sordina, quando Cora si imbatte in Blum e nei delfini. Schulman racconta in maniera quasi analitica e scientifica tutta la storia, specificando all’inizio di ogni capitolo il luogo e il giorno in cui si svolge l’azione, come il diario di un esperimento. Ho avuto l’impressione che la narrasse anche in maniera piuttosto misurata, che non fosse il linguaggio usato a coinvolgere emotivamente il lettore ma i semplici fatti. Fatti che poi inevitabilmente vanno oltre le aspettative dei ricercatori, suscitando in noi che leggiamo la sensazione che accadrà qualcosa di tremendo, sia alla ragazza che ai delfini, nello specifico a Junior (che nella storia vera accaduta alla Lovatt è Peter).

Come ho già detto prima, in rete potete trovare moltissimi articoli che parlano di quel che accadde negli anni Sessanta e anche tantissimi video su Youtube in cui si vede Margaret che parla con Peter facendogli ripetere delle parole. (Bisogna che faccia un appunto: nel libro i delfini riescono a ripetere in modo stentato qualche parola, nella realtà l’apparato fonatorio dei delfini non glielo permette, ma riescono a riprodurre il ritmo delle sillabe e delle frasi, e i video veri di Peter sono incredibili.) Il consiglio che vorrei darvi è, però, di leggere prima questo romanzo – qualora vi abbia incuriosito – e poi di cercare su Google testimonianze e materiale scritto e visivo di quel famoso esperimento naufragato in modo clamoroso.

Buona lettura!

Titolo: La casa dei delfini
Autore: Audrey Schulman
Traduttore: Silvia Montis
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 15 giugno 2022
Pagine: 338
Prezzo: 18 €
Editore: edizioni e/o


Audrey Schulman – è autrice di sei romanzi: La gabbia (Polillo 1999), Tre settimane a dicembre (E/O 2012), Swimming with Jonah, A House Named Brazil, Theory of Bastards, col quale ha vinto il premio Philip K. Dick e il Darthmouth College’s Neukom Literary Award nel 2019, e La casa dei delfini (E/O 2022). I suoi libri sono stati tradotti in più di dieci lingue. Nata in Canada a Montréal, vive a Cambridge, in Massachusetts, dove dirige HEET, un ente non profit che si occupa di ecosostenibilità.

Briciole | Seni e uova | Senti chi parla | La combattente

Cari lettori, per molti sono finite le vacanze. Spero che le vostre siano andate bene, o almeno che le abbiate passate serenamente, anche se con questo clima generale è difficile, e spero anche che il rientro al lavoro non sia stato troppo duro. Vi sarete accorti che quest’estate, escluso l’ultimo post della settimana scorsa, qui ho scritto poco, ma ho preferito alleggerire un po’ la mente e parlare in modo più rapido delle letture estive su Instagram, dove qualcuno di voi mi segue (se non lo fate ancora e vi fa piacere, mi trovate come @valeh89). Per questo motivo, torno qui con la rubrichetta Briciole, cercando di raccogliere alcuni di questi miei ultimi commenti per parlare a chi mi segue solo qui di qualcuno dei libri che ho letto negli ultimi mesi.
Spero che i consigli possano risultarvi graditi e, se vi va, raccontatemi come sono andate le vostre vacanze, se le dovete ancora fare, e cosa avete letto di bello.
Buona lettura!

«Ora, estate 2008, ho trent’anni e non sono quasi per niente la donna che sognavo di essere quando ne avevo venti e mi sforzavo di immaginare il mio futuro.»

Seni e uova è un romanzo di Mieko Kawakami pubblicato da Edizioni e/o ad agosto dello scorso anno nella traduzione di Gianluca Coci. Non è esattamente una delle ultime novità, quindi, ma credo sia un libro a cui dedicarsi con calma. È la storia di tre donne: Natsuko, scrittrice alle prese con le difficoltà del mestiere, la sorella Makiko e la figlia di quest’ultima, Midoriko. La vicenda si svolge in due periodi diversi: nella prima parte Makiko va a Tokyo perché vuole mettersi delle protesi al seno, con Midoriko ancora piccola che non capisce l’esigenza della madre, né il fatto che il suo stesso corpo cresca, e decide di non parlare più.
Dieci anni dopo, invece, è Natsuko che torna nella sua Osaka, e ormai quasi allo scadere dell’età giusta vuole intraprendere un percorso per diventare madre da sola.
Si tratta del viaggio intimo di tre donne, prese nei loro turbamenti e in tre dei periodi “critici” della vita femminile: l’adolescenza, quando il tuo corpo cambia e non riesci a reggere il peso di un tale sconvolgimento; quando passi l’età in cui quasi tutte diventano madri e ti rendi conto che per te è quasi troppo tardi, quindi ti chiedi se sia davvero ciò che vuoi e scegli di imbarcarti nell’impresa o di non farlo; e quando, dopo la maternità, devi convivere con un corpo diverso, che non è più quello di una volta, un corpo che pensi di voler “aggiustare”.
Una storia in cui emerge forte e chiaro il sentire femminile, praticamente in tutte le sue sfaccettature. Qualcosa che colpisce dritto al cuore, che il lettore sia una donna o meno.
DETTAGLI: Seni e uova, Mieko Kawakami, trad. Gianluca Coci, Romanzo, Letteratura giapponese, 624 pp., edizioni e/o, 26 agosto 2020, 19,50 €


«Perché gli svassi si scambiano alghe e piante acquatiche danzando? Perché gli Anatidi hanno tutti danze simili? Perché gli uccelli cantano? È puro istinto o devono imparare a cantare? Cosa si dicono? È cercando di rispondere a questi dubbi, una decina d’anni fa, che ho iniziato a studiare e a scoprire di più sulla comunicazione animale tutta.»

Data la mia grande passione per la saggistica sulla natura e sugli animali, ho voluto leggere Senti chi parla di Francesca Buoninconti, uscito lo scorso 28 aprile per Codice Edizioni. Si tratta di un libro molto interessante che, come suggerisce il titolo stesso, tratta il tema della comunicazione nel regno animale. Cosa si dicono gli animali? La loro comunicazione è solo intraspecifica (cioè, avviene all’interno della singola specie) o può essere anche interspecifica (fra specie biologiche diverse)? Ma, soprattutto, come avviene? A questo proposito l’autrice divide il volume in tre parti, ognuna delle quali descrive i comportamenti di determinati animali in base all’uso di tre dei cinque sensi: la vista (quindi tutte quelle azioni compiute per segnalare visivamente qualcosa a simili e non), l’udito (suoni, versi, ruggiti, canti) e l’olfatto (“odori bestiali”, “fragranze letali”).
Buoninconti è una naturalista e giornalista scientifica, per Codice ha già pubblicato “Senza confini” che tratta di storie degli animali migratori. Scrive di scienza, natura e clima per varie testate ed è al microfono di Radio3 Scienza.
Se anche voi siete curiosi di scoprire in maniera divertente, fresca e per nulla noiosa che cosa succede fra gli animali quando si trovano a dover comunicare qualcosa (anche in maniera ingannevole, perché sì, molti animali sanno mentire!), allora questo è il testo giusto.
DETTAGLI: Senti chi parla, Francesca Buoninconti, Saggistica, Letteratura italiana, 372 pp., Codice, 28 aprile 2021, 24 €


«Perché una morte arriva a innescare un vortice inarrestabile di sofferenze?»

Angelita è una scrittrice ed ex giornalista. Ha da poco perso per una grave malattia Fabrizio, compagno di vita da trent’anni e sta iniziando a fare i conti con la solitudine, con la “vedovanza”. Abita da sola nella vecchia casa di famiglia, ed è proprio lì che un giorno, per caso, dietro un mattone leggermente spostato di un muro, trova qualcosa che apparteneva a Fabrizio e che racconta di un passato dell’uomo di cui Angelita non ha mai saputo nulla. Fra mille dubbi e paure, le incertezze sull’uomo che ha avuto accanto e ha amato per moltissimi anni la spingono a indagare, a fare un viaggio a ritroso negli anni Settanta (il periodo relativo agli oggetti ritrovati) per scoprire chi fosse veramente Fabrizio e cosa gli fosse capitato.
Questa è a grandi linee la storia che Stefania Nardini racconta nel suo romanzo La combattente, uscito il 9 giugno per Edizioni e/o. Ma non è solo la vicenda di una donna sola, di una che ha perso il suo sostegno e deve ricostruire la sua esistenza ormai solitaria; è anche la ricostruzione dei fatti che interessano la storia di un periodo storico come quello degli anni Settanta, fatto di fughe, ideali, nascondigli, compromessi e decisioni dolorose per cui sacrificare anche gli affetti più grandi.
Angelita, narrando in prima persona le sue vicende, ci fa entrare nel suo cuore, ci descrive ciò che prova e condivide con noi tutto il suo smarrimento, la paura, i problemi di denaro.
Quello di Nardini è un romanzo molto interessante e gradevole, ma soprattutto è un approfondimento interessante su un momento storico davvero complicato.
DETTAGLI: La combattente, Stefania Nardini, Romanzo, Letteratura italiana, 156 pp., edizioni e/o, 29 giugno 2021, 15 €

Vita su un pianeta nervoso | Matt Haig

Se il mondo moderno ci fa stare male,
allora non ha importanza quello che abbiamo,
perché stare male fa schifo.
E stare male quando ci dicono che non ne abbiamo motivo,
beh, fa ancora più schifo.

 

È un po’ che m’interrogo su come parlarvi di questo libro e finalmente ho deciso di inserire il post nella categoria degli stralci, come citazione. Vita su un pianeta nervoso di Matt Haig (di cui poco tempo prima avevo letto Come fermare il tempo) è uscito per edizioni e/o il 6 febbraio e io da subito ho deciso che dovevo averlo. Avevo capito che, in soldoni, parlava del disturbo d’ansia dalla prospettiva personale dell’autore, che ne soffre, e siccome l’argomento m’incuriosisce molto – come molte altre cose che riguardano la psicologia – sono andata a prenderlo, anche se non subito perché ho avuto qualche difficoltà iniziale a reperirlo. Devo dirvi che mi sono trovata tra le mani un gioiellino, qualcosa che non solo mi ha offerto tanti spunti di riflessione, ma che mi ha anche aiutata a capire molti lati della mia personalità e tanti problemi che affliggono tutti noi senza che spesso ce ne rendiamo conto.

L’assunto da cui parte Haig è che il nostro pianeta diventa sempre più nervoso e noi tante volte non riusciamo a stare al passo con gli eventi, con gli altri, con le situazioni e rischiamo di impazzire con lui. Ma cosa possiamo fare per evitare che ciò accada? Lui, dalla sua esperienza (ho capito che oltre che d’ansia, abbia sofferto o soffra ancora di depressione), cerca di analizzare più elementi possibili per farci capire, e capire insieme a noi, qual è il confine tra noi e gli altri, dove siamo noi e dove si colloca tutto il resto. Quante volte controlliamo i social, le notifiche delle app? Quanto ci mette un completo estraneo a farci infervorare con un commento fastidioso su internet? Quanto sono capaci di creare allarmismo i giornali, la televisione e i siti di cronaca? Quanto ci possiamo sentire soli quando in realtà siamo connessi col mondo? Quanto le strategie di marketing ci fanno sempre sentire inadeguati: troppo grassi, con la pelle troppo secca/grassa, troppo sciatti? Quanto ci sembra di rimanere sempre indietro in questo mondo che va così veloce? Queste sono alcune delle domande a cui cerca di rispondere Haig e su cui vuole focalizzare la sua e la nostra attenzione.

Io non soffro d’ansia, ma quello che ho capito è che basta un attimo per cascarci, basta farsi trascinare troppo da tutto e tutti. Credo che Vita su un pianeta nervoso sia un libro da assumere come una medicina, a piccole dosi giornaliere. Io ho fatto così ed è per questo che ci ho messo circa due mesi a leggerlo, ma vi assicuro che ogni pagina vi resta dentro, spesso non si riesce a passare al capitolo successivo senza aver rimuginato molto su quello appena concluso. Non vedetelo come un libro di saggistica o un manuale di autoaiuto, non è niente di tutto ciò. Per spiegarvi meglio cos’è voglio lasciarvi uno stralcio.
Vi auguro davvero di poterlo leggere, serve a tutti.

Non mi piacciono i centri commerciali, ma non ho più attacchi di panico quando ci vado. La chiave per sopravvivere ai centri commerciali, ai supermercati, ai commenti negativi in rete o a qualunque altra cosa non è ignorarli, o sfuggirli, o combatterli, ma accettare la loro esistenza. Accettare di non avere alcun controllo su di loro, ma solo su noi stessi.
«Perché dopotutto» ha scritto il poeta Henry Wadsworth Longfellow, «la cosa migliore da fare quando piove è lasciar piovere». Sì. Lasciar piovere. Lasciare che il pianeta sia quello che è. Non abbiamo scelta. Ma anche, essere consapevoli dei nostri sentimenti, buoni e cattivi. Sapere cosa funziona per noi e accettare ciò che invece non funziona. Una volta compreso che la pioggia è pioggia, e non la fine del mondo, tutto diventa più facile

 

Titolo: Vita su un pianeta nervoso
Autore: Matt Haig
Traduttore: Silvia Castoldi
Genere: Saggistica
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 408
Prezzo: 15 €
Editore: edizioni e/o

Come fermare il tempo | Matt Haig

L’unica regola è non innamorarsi.
Ce ne sono altre,  ma questa è la principale.
Non innamorarsi. Non amare. Non sognare l’amore.
Se tieni fede a questa regola, andrà tutto bene.

 

Tom Hazard insegna storia in un liceo, ha l’aspetto di un uomo sulla quarantina e vive nella Londra dei giorni nostri. In realtà, però, Tom ha quattrocentotrentasei anni ed è di origini francesi, e questa è una delle tante vite che ha vissuto finora. Quando era adolescente si è accorto che sì, invecchiava, ma molto lentamente, che un anno di una persona normale corrispondeva a circa quindici anni suoi. Non è come quei vampiri immortali, diciamo che assomiglia di più agli alberi centenari o alle vongole artiche, esseri viventi dotati di una longevità che sembra quasi incredibile. Una volta si è rivolto a un illustre medico che stava portando avanti degli studi sulla progeria, proprio per avere qualche ragguaglio sulla sua disfunzione, che è stata chiamata anageria, ma quel dottore è stato misteriosamente trovato morto qualche giorno dopo. Tom viene a sapere allora che esiste una società, di cui entra a far parte dal momento in cui ne è a conoscenza, di individui vecchissimi che si proteggono fra loro perché sono tutti in pericolo. Anche se non c’è più la caccia alle streghe (la madre di Tom era stata uccisa perché sospettata di aver fatto un incantesimo per mantenere sempre giovane il figlio), bisogna stare attenti agli scienziati che potrebbero voler catturare qualcuno di loro per farne una cavia da laboratorio per eventuali scoperte per contrastare l’invecchiamento cellulare.

Il capo della società degli Albatros (un tempo si pensava che questi fossero animali in grado di vivere per moltissimi anni, ma ora il nome è antiquato), Hendrich, un uomo di circa novecento anni che ha l’aspetto di un settantenne, dice di voler proteggere tutti quelli come lui e di cercare nel mondo, nascosti tra le effimere (chiamano così i “normali”, come quegli insetti il cui ciclo vitale si esaurisce in una giornata), coloro che magari sono alla deriva, si stanno nascondendo e non sanno di non essere soli. Hendrich ha molti contatti, è in grado di creare documenti falsi per le nuove vite di tutti e dà a Tom alcune regole: cambiare vita ogni otto anni, alla fine dei quali gli verrà assegnato un compito, e – la più importante – non innamorarsi. Perché sarebbe difficile innamorarsi di una persona che ci invecchia tra le mani mentre restiamo giovani, e sarebbe un elemento destabilizzante. Infatti lui soffre ancora moltissimo per la perdita di Rose, circa quattrocento anni prima, e sta ancora cercando Marion, la figlia avuta da lei, che a quanto pare ha la sua stessa disfunzione.

Supplicai Dio, lo implorai e cercai di scendere a patti con lui, ma Dio non scese a patti. Dio fu ostinato, sordo e indifferente. E lei morì, e io vissi, e una voragine si spalancò, buia e senza fondo, e io caddi e continuai a cadere per secoli.

Come fermare il tempo è un romanzo di Matt Haig, edito da Edizioni e/o, che ho comprato il mese scorso quando ero in libreria per altri motivi. Sono parecchi anni che non mi capita più di non aver niente da leggere, quindi quando prendo un libro c’è sempre un motivo particolare. Di questo, lo confesso subito, mi aveva attirato la copertina che a quanto pare è stata lasciata uguale all’originale in inglese, è stato solo tradotto il titolo. Io la trovo bellissima, con la clessidra in primo piano. Ovviamente, avevo letto già in rete la sinossi e mi sembrava molto interessante. Devo dire che ho passato qualche giorno in compagnia di una storia appassionante e piacevolissima da leggere, è uno di quei libri che non sono affatto pesanti (che in un momento di festività e di svago ci stanno eccome!) ma che comunque lasciano qualche spunto di riflessione. Non è un libro inconsistente, ecco. Affatto.

Matt Haig e la copertina originale

I capitoli, alcuni dei quali molto brevi, sono un’alternarsi di flashback e ritorni alla Londra di oggi, come pezzetti di un puzzle che si va componendo piano piano perché il lettore possa conoscere la storia di Tom Hazard, professore molto simpatico che insegna la storia quasi come se l’avesse vissuta in prima persona (strano, eh?). Ma la sua vita – che ci racconta in prima persona – è una grande riflessione sul tempo e sul modo in cui lo trascorriamo. Tom si rende conto che è davvero difficile imparare a vivere, che magari ci sono quelli che riescono a farlo e quelli che, invece, dopo quattrocento anni ancora non hanno capito tante cose. Gli viene detto da qualcuno che l’importante è avere uno scopo, un punto fermo che rimanga lì negli anni, qualcosa a cui potersi aggrappare quando tutto intorno a noi sembra cambiare per restare, però, sempre uguale. E lui lo sa, anche da insegnante di storia, che ciclicamente avvengono sempre le stesse cose, le stesse guerre, gli stessi problemi, anche se per motivi in apparenza diversi. Così il cambiamento smette di essere una novità e diminuisce anche la tolleranza nei confronti di chi continua a commettere gli stessi errori.

Ma in questo discorso basato sulla logica non trovano spazio le emozioni che, come dice Tom, non obbediscono alle leggi dell’aritmetica. Proteggere se stessi per paura di essere feriti – per obbedire invece alla regola di Hendrich di non innamorarsi – può provocare un tipo diverso di dolore dovuto a una mancanza importante (tanto che i ricordi di ciò che non ha gli provocano mal di testa che lui chiama “mal di memoria”). È così che con una serie di riflessioni il protagonista capisce di aver passato molto tempo a sopravvivere, più che a vivere, e inizia un percorso di maggiore consapevolezza per ritrovare se stesso.
Ha vissuto tanti anni come quelle “effimere” che non hanno le risorse psicologiche per trascorrere più anni del dovuto, perché si abituano e si annoiano; ha vissuto come bloccato all’interno della stessa canzone per moltissimi tempo. E adesso, in quella Londra di cui conosce ogni angolo, è arrivato il momento di ritrovare il coraggio messo da parte.

L’unico difetto, a mio parere, di questo libro – ma nemmeno di pecca si può parlare – è che in alcuni punti può sembrare un po’ forzato, soprattutto quando Tom racconta che nella sua lunghissima vita ha conosciuto personaggi realmente esistiti: ha suonato il liuto nella compagnia di Shakespeare, ha viaggiato col capitano Cook, ha incontrato in un bar a Parigi i Fitzgerald. Però è una storia e come tale va presa, infatti molti di questi aneddoti sono anche molto divertenti.
Nei ringraziamenti Haig ha incluso anche Benedict Cumberbatch che – scopro – «ha colto il potenziale per un film». Dunque aspettiamo questo film, che secondo me sarà davvero carinissimo.
Nel frattempo, buona lettura e buon inizio d’anno!

Titolo: Come fermare il tempo
Autore: Matt Haig
Traduttore: Silvia Castoldi
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 29 agosto 2018
Pagine: 360
Prezzo: 18 €
Editore: e/o