Briciole: “Il libro di Natale”, “Oggetti solidi”, “Applausi a scena vuota”

Premetto che so di essere pessima, ma in questo periodo sono più iperattiva del solito, faccio mille cose, la testa va per conto suo e non riesco a parlare bene e per esteso di ogni libro che leggo. Devo quindi ricorrere nuovamente alla rubrica Briciole per parlarvi delle mie ultime tre letture, purtroppo non come vorrei, ma è solo per darvi un’idea di quello che ho affrontato e per confrontarmi con voi qualora doveste conoscere questi libri. Mi dispiace moltissimo non riuscire a dire di più perché sono state tre letture veramente belle, un Nobel, un’autrice meravigliosa e quello che forse è il mio scrittore preferito. Ma c’è il Natale, i regali, l’anno che sta finendo (e voglio parlarvi adesso delle letture del 2016, senza sforare), io che ultimamente mi sono data alla pazza gioia e ho bisogno di divertimenti, quindi capirete che il tempo e la concentrazione scarseggiano. Ma andiamo al dunque.

lagerlofnatale1Il libro di Natale di Selma Lagerlöf è una raccolta di racconti che abbiamo scelto come ultima lettura di gruppo del 2016 su LeggoNobel. L’autrice ha vinto il Nobel per la letteratura nel 1909 ed è stata la prima donna a ricevere questo riconoscimento. Questi racconti, che abbiamo finito di leggere praticamente in due giorni – perché il libro è davvero breve – sono un bel ritratto della Svezia di fine Ottocento / inizio Novecento e sembrano quasi delle favole. Quello che ha colpito molti di noi lettori è come abbia fatto la Lagerlöf a dare un’immagine così vivida e veritiera dell’infanzia quando lei era già più avanti negli anni. Per il resto l’atmosfera natalizia è al centro dei racconti, le famiglie che si siedono a tavola per la cena di Natale, i bambini che aprono i regali, il loro desiderio di trovare un libro sotto l’albero e soprattutto il budino di riso, di cui tocca trovare la ricetta perché sarà parecchio buono!
(Per chi volesse unirsi al gruppo, dal 9 gennaio cominceremo a leggere Furore di Steinbeck)
DETTAGLI: Il libro di Natale, Selma Lagerlöf, trad. M. C. Lombardi, Racconti, Letteratura svedese, 120 pp., Iperborea 2012, 12,50 €, 4/5 stelline


cop_woolf-1Oggetti solidi di Virginia Woolf è un gioiellino pubblicato da pochissimo da Racconti edizioni, una casa editrice che non crede assolutamente che i racconti non vendano, e ha ragione. Questa è una raccolta di racconti e prose brevi della grandissima Virginia Woolf, che io amo molto nonostante abbia letto pochissimo, ma forse è più la sua figura, la sua personalità particolare ad affascinarmi da sempre. In ogni caso, sto cominciando a recuperare molte cose.
Questo è un bel libro corposo e io a parlare di racconti sono una frana perché vorrei raccontarveli tutti ma per ovvi motivi non posso. Emerge la personalità di una donna che spesso non è a suo agio con chi la circonda, che vede al di là delle cose a differenza degli altri e a cui sta stretto il sistema di convenzioni sociali dentro cui tutti, volenti o nolenti, siamo intrappolati. In alcuni punti il linguaggio può sembrare poco scorrevole, ma trovo che le traduttrici siano state molto fedeli allo stile della Woolf, quindi chapeau!
DETTAGLI: Oggetti solidi, Virginia Woolf, trad. A. Bottini e F. Duranti, Racconti, Letteratura inglese, 479 pp., Racconti edizioni 2016, 19 €, 4/5 stelline


15420932_10210331403072856_6089163744151106989_nApplausi a scena vuota di David Grossman, uno degli autori che amo di più e che vorrei vincesse il Nobel, ma dirlo sembra quasi una bestialità, perdonatemi. Volutamente non ho ancora letto tutti i suoi libri, voglio sapere che finito uno me ne resterà sempre almeno un altro da parte.
Questo è uno degli ultimi, è del 2014, e vede come protagonista Dova’le, un uomo che sta facendo un singolare spettacolo di cabaret a cui ha invitato un altro signore, Avishai, sua vecchia conoscenza. Lo spettacolo è particolare perché Dova’le sembra avere questioni irrisolte col passato e con quella persona in particolare, e nel suo monologo – in cui a volte tenta di coinvolgere il pubblico – non fa altro che dire grandi verità e snocciolare aneddoti sulla sua vita, come se dovesse dare spiegazioni o restituire qualcosa a qualcuno. Dova’le, tanti anni prima, ha vissuto una situazione angosciante, e a distanza di molto tempo non è ancora venuto a capo della questione, non riesce a trovare la verità o a ritrovare se stesso.
Come tutti i romanzi di Grossman, anche questo è contorto e intenso, e perciò meraviglioso a suo modo. Credo sia un autore che si ama o si odia, perché non penso ci possano essere vie di mezzo. Ti colpisce al cuore oppure no, ma è giusto che sia così.
DETTAGLI: Applausi a scena vuota, David Grossman, trad. A. Shomroni, Romanzo, Letteratura israeliana, 176 pp., Mondadori, 2014, 18,50 €, 4/5 stelline

“Che tu sia per me il coltello” di David Grossman

Amore è il fatto che tu sei per me il coltello
col quale frugo dentro me stesso.

(Ripreso da “Lettere a Milena” di Kafka)

 

12377764_10207275472236495_7826730866705230007_oDavid Grossman rappresenta per me una sicura oasi di pace, lo tengo lì da parte per i momenti bui. Poco tempo fa mi sono trovata mentalmente stressata, ho affrontato tante letture complicate e non sempre piacevoli, quindi ho dovuto concedermi un attimo di tregua leggendo Che tu sia per me il coltello, pescato a caso tra i libri di questo autore. Il romanzo non è proprio recentissimo, ma è stato scritto nel 1998 ed è arrivato in Italia nel ’99 grazie a Mondadori.
La storia è molto semplice: Yair un giorno, in un gruppo di persone, vede una donna che cerca di isolarsi dagli altri, Myriam, e qualche giorno dopo le scrive una lettera proponendole di instaurare un rapporto epistolare. Sembra un vero colpo di fulmine tra le loro anime: iniziano a conoscersi in maniera particolare, aprendo il loro cuore all’altra persona. Il problema è che a lungo andare questa cosa sembra sfuggire di mano a Yair, il quale sente che le parole di Myriam aprono un solco dentro di lui, costringendolo ad una svolta.

Entrambi sono sposati, entrambi hanno un figlio, ma riescono a tirar fuori la loro vera essenza solo attraverso le lettere che si scambiano. La cosa importante in questo romanzo non è un incontro finale tra i due protagonisti, ma il modo in cui un foglio di carta e una penna riescano ad essere una cura contro il grigiore della vita. Non c’è vergogna, né pudore o falsità tra Yair e Myriam, ma trasparenza e profondità. Chissà, probabilmente in un’altra vita sarebbero potuti essere una coppia. O forse, invece, no.
Il libro è diviso in tre parti: nella prima (che forse all’inizio è un po’ più difficile da superare) ci sono le lettere di Yair, dalle quali però si evincono le risposte di Myriam. E c’è, ovviamente, la prima lettera, quella da cui tutto ha inizio.

Myriam,
tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.
Ti ho vista l’altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato “professoressa”. Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. È tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me.

Come ho detto prima, è un vero e proprio colpo di fulmine tra anime, Yair non riesce a non scriverle, non può trattenersi perché dall’espressione e dai gesti di quella donna capisce che lei, con la sua penna, può essere il coltello con cui colpire nel vivo delle sue ferite per tirare fuori il vero se stesso.
La seconda parte del romanzo è dedicata a Myriam, che scrive su un quaderno le parole che vorrebbe dire al suo amico, mentre nella terza le parti dei due protagonisti s’incastrano e si sovrappongono fino a quando tutta la tensione che si accumula sembra essere rilasciata in maniera esplosiva.
Yair e Myriam scoprono l’importanza dell’immaginazione, scoprono quanto possano essere importanti le parole. Ma attraverso queste lettere si può anche mentire, si può nascondere la parte peggiore di sé, anche perché non è detto che quel lato della nostra personalità sia necessariamente il più importante.

Come vorrei pensare a noi come due persone che si sono fatte un’iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità.

Che tu sia per me il coltello è un libro che lascia dentro una marea di sensazioni che si confondono tra loro, tra le quali è particolarmente difficile mettere ordine. O, almeno, a me ha fatto quest’effetto. Ho lasciato passare un po’ di tempo prima di parlarne, l’ho addirittura finito prima di capodanno, e nonostante ciò non sono riuscita a dire tutto quello che avrei voluto. Credo sia una lettura un po’ complicata per chi nei libri cerca svago o leggerezza, è un romanzo che cattura, in cui bisogna fare molta attenzione, perché non bisogna seguire la trama ma soppesare le parole, capire l’importanza di ognuna di esse.

Buona lettura!

Titolo: Che tu sia per me il coltello
Autore: David Grossman
Traduzione:
 Alessandra Shomroni
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 1998
Pagine: 330
Prezzo: 10 €
Editore: Mondadori – Oscar

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienasmezza

“A un cerbiatto somiglia il mio amore” di David Grossman

La giovane commessa del negozio di abbigliamento
lo aveva osservato mentre si provava una camicia ed era arrossita.
Orah aveva pensato, orgogliosa:
A un cerbiatto somiglia il mio amore*
.

IMG_20150706_160305Coi romanzi di Grossman io ci vado molto cauta, ne leggo un ogni tanto perché voglio avere la sicurezza di averne sempre uno che ancora non ho letto. Sapere di averli letti tutti mi farebbe sentire smarrita, perché racconta storie di cui a volte si sente il bisogno. C’è chi dice che i suoi libri non siano semplici e scorrevoli, io posso dire che non ho mai avvertito tutta questa pesantezza e che, anzi, ho vissuto delle emozioni indimenticabili.

Oggi vi voglio parlare di A un cerbiatto assomiglia il mio amore, romanzo del 2008 di David Grossman, che secondo il mio modestissimo parere è uno dei più grandi scrittori di oggi. Siamo in Israele, protagonisti della storia sono Orah, Avram e Ilan che, sedicenni, si conoscono in ospedale, nel reparto di isolamento, durante la guerra dei sei giorni. Tra Orah e Avram si crea immediatamente un rapporto speciale ma, andando avanti col tempo, scopriamo che i tre, anche da adulti, sono rimasti molto legati e che addirittura i due ragazzi hanno fatto il servizio militare insieme e che a sposare Orah è stato Ilan. I due hanno avuto un figlio, Adam, ma Orah ha anche un figlio con Avram, Ofer, ed è proprio intorno a lui che gira tutta la storia. Il ragazzo si arruola per partecipare ad una campagna in Cisgiordania e la madre, terrorizzata dall’eventualità che possa arrivare qualcuno a comunicarle la notizia della morte del figlio in guerra, decide di fuggire in luoghi dove non ci sono telefoni, televisori e giornali portandosi dietro un Avram che non è più lo stesso ragazzo sognatore e pieno di vita di un tempo. Veniamo a sapere, infatti, che ha vissuto esperienze terribili quando è stato fatto prigioniero dai nemici, cose che lo hanno cambiato nel profondo e che lo hanno reso quasi un automa. Orah e Avram faranno una passeggiata lunga circa 800 pagine in cui lei racconterà a lui di quel figlio di cui non ha mai voluto sapere nulla e in cui verranno fuori verità troppo a lungo taciute.

Probabilmente Grossman, in alcuni punti, si dilunga nelle descrizioni dei paesaggi e della vegetazione, ma vi assicuro che questo libro è straziante. Questa è una di quelle storie che entrano dentro e non ti lasciano più. È narrata in terza persona ma si capisce che l’autore segue prevalentemente il punto di vista di Orah, una donna che vuole davvero ricomporre quello che nella sua anima gemella si è rotto. Avram, dopo quello che ha patito, sembra aver deciso consapevolmente di staccarsi dalla vita, di limitarsi a vederla da fuori senza parteciparvi attivamente; per questo motivo non ha mai voluto conoscere suo figlio Ofer, per lui sarebbe stato troppo importante, mentre invece vuole sopravvivere, ma non vivere. Credo che il personaggio di Avram sia meraviglioso, che dentro di lui ci sia quel ragazzino sensibile, vivace e dolce che era tanto tempo prima, ma che queste qualità siano state messe in una scatola di ferro resistente a (quasi) ogni tentativo di scasso. Ma il racconto di Orah lo aiuterà molto a capire che vale la pena vivere, che lì fuori c’è un figlio, che nonostante sia in pericolo, vale la pena di conoscere.

Ho letto altre recensioni di A un cerbiatto somiglia il mio amore e ho visto che molte persone si sono annoiate, ma soprattutto che si sono lamentate del finale enigmatico (“mi devo sorbire quasi 800 pagine per non capire se è vivo o morto?”). Vediamo di fare chiarezza: in questo libro non credo che il finale sia la cosa più importante. Non sto facendo uno spoiler. Non è importante sapere se quando Orah e Avram saranno tornati Ofer sia a casa sano e salvo o sia morto in guerra. La cosa importante è che quel figlio nasca davvero nel cuore di suo padre, e che quel cuore riesca ad aprirsi alla vita e alle persone che lo amano una volta per tutte.

Questo romanzo è un capolavoro ed è scritto con una potenza narrativa che difficilmente ho rintracciato in altre letture, probabilmente perché molti dei sentimenti descritti sono stati realmente provati da David Grossman. Leggiamo nella paginetta finale delle note che l’autore ha iniziato a scriverlo nel 2003, poco prima che il suo figlio maggiore Yonatan tornasse dal servizio di leva e che il minore, Uri, partisse a sua volta. Scrivere questo libro probabilmente gli faceva sentire di proteggere Uri, impegnato in guerra, come Orah, parlando di Ofer sentiva di preservarlo da una brutta fine. Ma nel 2006 Uri resta ucciso nelle ultime ore della seconda guerra del Libano. Dopo il lutto, il libro andava concluso, ma questa volta David Grossman sapeva esattamente di che cosa stava parlando, non stava semplicemente scrivendo una storia inventata.

Consiglio questo romanzo a tutte quelle persone che hanno voglia di provare emozioni forti e che non si spaventano di affrontare così tante pagine. Ve lo consiglio davvero, perché è un libro stupendo e non basterebbero 5 stelline per valutarlo.
Buona lettura!

Titolo: A un cerbiatto somiglia il mio amore
Autore: David Grossman
Traduzione:
 Alessandra Shomroni
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2008
Pagine: 781
Prezzo: 12 €
Editore: Mondadori – Oscar

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienaspiena


*Cantico dei cantici, 2,9. Ofer, in ebraico, significa “cerbiatto”.

“Giuda” di Amos Oz

11127655_1621487824731471_425405066963424666_nOggi vi parlo di un libro che ho acquistato mesi fa e che ho deciso di leggere adesso perché evidentemente era arrivato il suo momento. Ho iniziato un po’ in maniera stentata perché me lo sono portato in vacanza e non sono affatto come quelle persone ossessive che dicono di leggere 24 ore al giorno, no, io mi sono goduta la vacanza prima di tutto. Comunque avevo troppe aspettative e forse proprio per questo sono rimasta delusa. Stiamo parlando di Giuda di Amos Oz.

Shemuel Asch è un ragazzo corpulento sui venticinque anni, timido, dalla lacrima facile, emotivo e asmatico. Un giorno la sua famiglia subisce una crisi finanziaria e non è più in grado di sostenerlo negli studi universitari, quindi, proprio mentre sta scrivendo una tesi sul personaggio di Giuda Iscariota, abbandona lo studio e risponde ad un annuncio che trova in caffetteria. L’impiego consisterebbe in cinque ore al giorno di conversazione con un vecchio invalido in cambio di vitto, alloggio e un discreto stipendio. Si presenta all’indirizzo indicato, conosce Gershom Wald e la quarantacinquenne Atalia Abrabanel e accetta il lavoro. Si trasferisce così nella mansarda della casa ed è sempre più incuriosito da queste due persone, non capisce quale rapporto le leghi, ma capisce che ci sono tanti segreti e dolori mai dimenticati.
Col tempo scopre che quel vecchietto, coltissimo intellettuale, che passa le giornate a chiacchierare al telefono con gli amici, ha perso il figlio Micah il 2 aprile del 1948, gli è stato ucciso barbaramente durante il conflitto arabo-israeliano. Atalia non è altro che la nuora di Gershom Wald, nonché la vedova di Micah, una donna misteriosa e affascinante che ormai ha perso la fiducia nell’universo maschile e non riesce più a legarsi a nessuno perché considera tutti gli uomini inetti. Nonostante questo, anche lei si porta dentro il dolore per la morte di quell’uomo che è stato suo marito solo per un anno. Ma Atalia è anche la figlia di Shaltiel Abrabanel, personaggio notissimo a tutti e definito “traditore” perché era l’unico che credeva che il conflitto si potesse risolvere pacificamente con una mediazione ed era amico di molti leader arabi.

Da questo personaggio “traditore”, Amos Oz si indirizza, per bocca di Shemuel, verso una rivalutazione storico-religiosa di Giuda. Shemuel dichiara subito di essere ateo, ma di aver sempre amato il personaggio così carismatico di Gesù. Scrive la sua tesi soffermandosi su Giuda Iscariota, cercando di riscattarne la memoria. Secondo lui, in realtà, non avrebbe tradito Gesù, ma sarebbe stato addirittura l’unico a credere davvero nella sua divinità. Quella dei trenta denari doveva essere una scusa perché Giuda, di suo, era molto ricco e non poteva fare certe cose per una cifra così modesta. Sempre secondo Shemuel, Giuda voleva creare la situazione perfetta perché Gesù dimostrasse di essere il figlio di Dio, pensava che una volta crocifisso ci sarebbe stato il miracolo e sarebbe sceso illeso dalla croce. Invece Gesù morì, chiedendo a Dio perché lo avesse abbandonato, e Giuda, compreso l’errore di valutazione si sarebbe impiccato.

“Giuda Iscariota è dunque l’ideatore, l’organizzatore, il regista e il produttore del dramma della crocifissione.” (p. 168)

“E Giuda, il cui scopo e senso della vita s’infransero sotto i suoi occhi sgomenti, Giuda che capì di aver causato con le proprie mani la morte dell’uomo che più amava e ammirava, se ne andò a impiccarsi. Così”, scrisse Shemuel sul suo quaderno, “così morì il primo cristiano. L’ultimo cristiano. L’unico cristiano.” (p. 169)

Poi ci sono altre parti in cui Oz riporta uno stralcio di un libro in cui si pensa che fosse stato addirittura Gesù a chiedere a Giuda di fare tutto questo, suscitando il suo sgomento, e un paio di capitoli in cui a parlare è lo stesso Giuda che confessa di aver amato Gesù come un dio ma di averlo forse sopravvalutato.

Inizialmente è difficile cogliere questo nesso tra i due traditori, perché la storia di Abrabanel viene fuori più lentamente rispetto a quella di Giuda, lo si capisce verso la metà del libro. Forse è per questo motivo che Giuda risulta un po’ noioso. C’è questo ragazzo, Shemuel, che innanzitutto fa innervosire il lettore, perché sembra essere privo di volontà, si lascia trasportare dalle situazioni e gli viene da piangere praticamente in ogni momento. E per quanto Oz descriva nei minimi particolari fisici e caratteriali Shemuel, il personaggio risulta sempre poco chiaro, tanto che devo confessare di non aver capito che cosa gli passi per la testa alla fine. Davvero, non ho capito come si conclude la storia, ma non posso parlarvene perché rischierei di fare un megaspoiler, ma se lo avete letto spiegatemi voi perché per me non ha alcun senso.

Ero molto curiosa di leggere questo romanzo perché altri autori israeliani mi erano piaciuti molto, perché nonostante lo sfondo di gran parte dei loro libri sia il conflitto arabo-israeliano ognuno sviluppa il tema in maniera diversa. Però, come ho già detto, è stato una delusione, mi è risultato piatto. So benissimo che la storia è quasi tutta basata sull’introspezione, ma non è così interessante da leggere. Ciò non significa che non leggerò altri romanzi di questo scrittore con cui ho cominciato male. Spero che la prossima vada meglio!

Titolo: Giuda
Autore: Amos Oz
Traduzione:
 Elena Loewenthal
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2014
Pagine: 327
Prezzo: 18 €
Editore: Feltrinelli – Narratori

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