“All my puny sorrows” (“I miei piccoli dispiaceri”) di Miriam Toews

She told me she’d never adjusted to the light,
she’d just never developed a tolerance for the world,
her inoculation hadn’t taken.

 

toews_allmypunysorrows_coverI miei piccoli dispiaceri l’anno scorso ha fatto il botto, erano tutti impazziti per questo libro, motivo per cui ne ho rimandato la lettura fino a quando, per vari motivi, non mi si è presentata l’occasione di leggerlo in lingua originale col titolo All my puny sorrows. Forse avevo aspettative troppo alte e mi dispiace molto dirvi che, nonostante il tema estremamente drammatico che viene trattato, il libro non mi ha provocato nessuna reazione a parte la noia.
Le due protagoniste, Yoli ed Elf, sono due sorelle molto diverse tra loro: la prima è più piccola di sei anni rispetto all’altra, scrive, è confusionaria, ha figli da uomini diversi; la seconda inveceè la più bella, la più brillante, è una musicista molto apprezzata, una ragazza che può essere definita perfetta, il cui unico problema è che vuole suicidarsi e ci prova in diversi modi senza riuscirci. Per questo motivo Yoli, la madre, il marito di Elf e tutti gli altri cercano di collaborare per convincerla a restare in questo mondo, a farle capire che hanno bisogno di lei.

Just stop saying “love” over and over, okay? Just don’t do it. But Yoli, you don’t understand. Which wasn’t true, entirely. I understand that if you say a certain word over and over and it begins to make you feel bad then you should goddamn stop saying that word. Why do we keep having there exasperating conversations?

Se ci sono diversi stralci di notevole bellezza che ho sottolineato e penso conserverò nella memoria, il resto del libro appare abbastanza “statico”, fermo. Secondo me si perde troppo tempo nella descrizione delle storie altrui e si gira eccessivamente intorno all’argomento senza arrivare ad approfondirlo, tranne che, com’è ovvio che sia, alla fine. Questo per dire che di queste 368 pagine, a mio avviso, molte potevano essere risparmiate.
E anche il linguaggio usato non mi ha conquistata: uno stile colloquiale, forse troppo, il polisindeto regna sovrano e il risultato è che le frasi sono troppo lunghe e dispersive, con poca punteggiatura, si perde il segno facilmente e ci si stanca. Infatti ho avuto bisogno di qualche giorno di pausa, ho dovuto staccare più volte tra un capitolo e l’altro. In realtà sarei curiosa di leggere la versione italiana che ha fatto impazzire tutti i miei amici che lo hanno letto, magari la traduttrice lo ha reso meno faticoso e più coinvolgente con qualche piccolo stratagemma, però, in fin dei conti, un buon traduttore non dovrebbe stravolgere né la storia né lo stile, quindi suppongo che I miei piccoli dispiaceri sia rimasto fedelissimo a All my puny sorrows.

Nothing happens in my life.
Nothing has to happen, she said, for it to be life.

Mi dispiace immensamente bocciare questo libro che tutti hanno amato e lodato, ma è risaputo che ognuno di noi legge un libro diverso per diversi fattori: le aspettative, il nostro carattere, il momento in cui lo si affronta, ecc..
Leggo, tra l’altro, che il libro nasce dalle vicende personali dell’autrice che ha perso il padre e la sorella, entrambi suicidatisi, a distanza di dodici anni l’una dall’altro. Immagino debba essere stato molto duro per lei scrivere due romanzi ispirati a momenti così dolorosi della propria vita e l’impressione che il libro ha dato a me non deve essere particolarmente lusinghiera. Però credo sia normale che un libro possa non piacere, o meglio, non essere nelle corde di qualche lettore.
Detto questo, provate comunque, magari vi commuove e per voi sarà il libro più bello del mondo.

Buona lettura!

Titolo: I miei piccoli dispiaceri
Autore: Miriam Toews
Traduzione:
 Maurizia Balmelli
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2014 (questa edizione 2015)
Pagine: 368
Prezzo: 18 €
Editore: Marcos y Marcos

Giudizio personale: spienasvuotasvuotasvuotasvuota

In breve: “L’offesa” di Ricardo Menéndez Salmón

Eccolo lì, pensò allora,
il mondo esattamente com’era il 2 gennaio 1941;
il mondo con i suoi odori, i suoi sapori e la sua consistenza;
il mondo perduto prima dell’orrore,
il mondo perduto della belva bionda.

 

succulenteIo sono una che i consigli di lettura qui li dà, ma raramente li accetta da altri, più che altro perché ho sempre un numero infinito di libri impilati che aspettano di essere letti e se ne aggiungo di nuovi devono essere veramente validi. Comunque, un paio d’anni fa mi è capitato di leggere una recensione bellissima di un libro dello spagnolo Ricardo Menéndez Salmón, L’offesa, pubblicato per la prima volta nel 2007 e uscito in Italia l’anno successivo con Marcos y Marcos, una casa editrice con cui purtroppo ho un rapporto strano: non mi capita di leggerne molti e quelli che leggo non mi fanno impazzire. Ma sicuramente devo trovare il libro che fa per me. Comunque, di questo romanzo vi parlo in breve proprio perché non mi è piaciuto, quindi non ho moltissimo da dire.

La storia è questa: Kurt Crüwell è un giovane sarto tedesco, che nel 1939 viene chiamato alle armi perché è scoppiata la guerra. Per lui non si tratta di un’esperienza troppo traumatica perché viene impiegato come autista dell’ufficiale Löwitsch, ma quando, due anni dopo, alcuni suoi compagni vengono assassinati, l’ufficiale decide di vendicare questo massacro con un altro massacro: con Kurt e altri soldati va in un piccolo villaggio francese, rinchiude novantacinque persone in una chiesa e appicca il fuoco. Questa scena sconvolge Kurt a tal punto che perderà la capacità di provare sentimenti e viene mandato in Bretagna, dove verrà curato dal dottor Lasalle e dall’infermiera Ermelinde. Quando arriveranno dei partigiani in ospedale per fare una carneficina, Lasalle darà il suo passaporto a Kurt e lo aiuterà a fuggire con Ermelinde. Kurt, spacciandosi per Lasalle, inizia una nuova vita con la ragazza, e apparentemente è guarito, ma succederà qualcosa che sconvolgerà definitivamente la sua esistenza.

L’idea di questo libro è molto interessante e io ho voluto leggerlo perché mi piacciono le storie che hanno a che fare con la seconda guerra mondiale o comunque sono ambientate in quel periodo. Purtroppo le mie aspettative sono state disattese e ho letto un libro noioso, che non mi ha coinvolta più di tanto. Mi sono mangiata le mani perché percepivo che la storia, dietro le parole, era bella, ma le parole usate per raccontarla, appunto, non le rendevano giustizia. Ogni tanto s’intravede un barlume di patos, specialmente quando all’inizio Kurt ha una storia con una ragazza ebrea e capisce che non la rivedrà mai più.

Ad averlo saputo, che era l’ultima volta che vedeva la dattilografa viva, forse Kurt si sarebbe girato a guardarla dal portone.
Perché Rachel Pinkus stava per essere divorata dall’orrido mostro della storia.
Era ebrea.

Nemmeno alla fine, quando al protagonista capita qualcosa di incredibile che lo farà crollare, si sente davvero la sua sofferenza; c’è la descrizione dello sconvolgimento, ma non mi ha colpito, non mi ha fatta sentire parte della storia e non mi ha permesso di condividere il suo stato d’animo, cosa che un libro veramente bello di solito fa.
Detto questo, devo però ribadire che quando un libro a me non piace non è detto che non piaccia neanche a voi, e soprattutto una mia recensione negativa non significa che “non dovete leggere quel libro”. Magari l’ho letto in un momento sbagliato, con poca attenzione, o ci possono essere tanti altri fattori. Meditate e… buona lettura, qualsiasi cosa decidiate di leggere!

Titolo: L’offesa
Autore: Ricardo Menéndez Salmón
Traduzione:
 Claudia Tarolo
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2007
Pagine: 152
Prezzo: 13,50 €
Editore: Marcos y Marcos

Giudizio personale: spienasmezzasvuotasvuotasvuota