Metodi per sopravvivere | Guðrún Eva Mínervudóttir

Ogni volta che le persone mostravano la loro natura contraddittoria
io maturavo e diventavo un pochino più adulta.
Sotto la superficie ferma prendeva forma
la mia capacità di comprendere.
Niente a che vedere col giudicare gli altri, secondo me.
Era solo un metodo per sopravvivere.
~

Circa un mesetto fa Iperborea ha pubblicato un libro che dalla descrizione mi ha subito interessato e che poi, dopo la lettura, ho trovato un gioiellino. Si tratta di Metodi per sopravvivere, un romanzo dell’autrice islandese Guðrún Eva Mínervudóttir (tradotto da Silvia Cosimini) ambientato in un sobborgo di Reykjavík, dove la vita scorre lenta e assistiamo alla routine quotidiana, serena e ovattata, di quattro personaggi le cui vite si intrecciano. Aron Snær è un ragazzino di circa undici anni che è stato abbandonato dal padre che oramai ha una nuova famiglia, e vive con la madre che però non riesce a superare la separazione e sprofonda in uno stato depressivo. Hanna è più grande, ha sedici anni, e si trova lì con la madre perché anche i suoi genitori si sono separati e sta cercando una sistemazione definitiva; è un po’ che si rifiuta di mangiare, ma nel frattempo lavora in una griglieria. Borghildur è una donna adulta, vedova da un po’ di tempo, con i figli lontani e un lutto ancora non ben elaborato. Infine, Árni è un uomo innamorato di una donna che non lo ricambia e passa le giornate a farsi trascinare ovunque da Alfons, il suo labrador molto vivace.

La struttura del romanzo è interessante: ogni capitolo è dedicato a un personaggio diverso e sono tutti concatenati. Hanna incrocia per strada Árni, che a sua volta incrocia Aron Snær, il quale poi si imbatte in Borghildur, e il lettore viene così a conoscenza della storia di ciascuno di loro. Ma, in realtà, il fulcro della storia è proprio il piccolo Aron, a cui gli altri si avvicinano più o meno spontaneamente. Árni lo vede in difficoltà – e viene a sapere di un fattaccio accadutogli qualche anno prima – e decide di regalargli la sua bicicletta, Borghildur lo soccorre quando casca nel fango con quella stessa bicicletta e poi quando scoprirà che sua madre non è in grado di prendersi cura di lui, e a Hanna verrà chiesto dai servizi sociali di affiancarlo per un po’ di tempo perché è una ragazzina coscienziosa e su cui poter fare affidamento.

La vita ti sbrana, e intanto ti guarda negli occhi con compassione. È così e basta.

I protagonisti sono persone immerse in una profonda solitudine, a qualcuno è anche capitata una disgrazia, quindi tutto il romanzo è intriso di una certa malinconia; però Guðrún Eva Mínervudóttir racconta le loro storie con una grande delicatezza e con profonda eleganza, facendoci percepire una luce che non riesce a spegnersi. E cos’è questa luce se non la scoperta del fatto che la solidarietà e la compassione, i legami umani, possono impedirci di crollare? Dedicarsi a qualcun altro è un’azione salvifica, non solo per il prossimo, ma anche e soprattutto per se stessi. È la celebrazione delle piccole cose che però poi diventano grandissime e importanti. Ciascuno di loro trova, così, il proprio metodo per sopravvivere, diverso dagli altri.

In un luogo così freddo come l’Islanda, quindi, seguiamo una storia che parla di calore, di affetti, connessioni e gentilezza. Mi è stata proposta perché mi era piaciuto moltissimo Doppio Vetro, letto qualche anno fa ( se non lo conoscete, recuperatelo), e devo dire che l’impressione era esatta: questo libro mi ha conquistato. L’ho trovato raffinato e quasi poetico, mi ha fatto riflettere su quanto spesso crediamo di essere delle isole lontane ma poi l’istinto umano viene sempre a galla portandoci a stabilire legami con gli altri. Perché in fondo, nessuno esiste senza l’altro ed è proprio questo “altro” che spesso, nei periodi più aridi e spenti della nostra vita, ci fornisce un metodo per sopravvivere.

Buona lettura!

Titolo: Metodi per sopravvivere
Autore: Guðrún Eva Mínervudóttir
Traduttore: Silvia Cosimini
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 25 gennaio 2023
Pagine: 192
Prezzo: 17 €
Editore: Iperborea


Guðrún Eva Mínervudóttir (1976) è una delle più note scrittrici e poetesse islandesi contemporanee. Tradotta in tutto il mondo, ha ricevuto molti premi letterari tra cui il Premio letterario islandese, il Premio culturale DV e il Premio RÚV Writer’s Fund per la sua opera.

Quel tipo di ragazza | Elizabeth Jane Howard

Era il tipo di persona che si sente sempre a un passo dall’avere
una vita in perfetto ordine e che, quando finalmente le sembra
di averlo raggiunto, ha l’impressione che la sua esistenza,
per così dire, ricominci in un modo più dinamico e significativo.
Ordine, per lei, significava avere il tempo e lo spazio per compiere i suoi doveri,
di qualunque genere fossero.
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Lo scorso novembre è tornata in libreria una delle autrici che – chi mi segue da un po’ lo sa – amo di più: Elizabeth Jane Howard, con Quel tipo di ragazza, tradotto sempre dall’ineccepibile Manuela Francescon, sua voce italiana, e pubblicato da Fazi. Io credo di aver incontrato pochi autori che come la Howard siano capaci di indagare l’animo umano e descriverne in modo così semplice e naturale, ma allo stesso tempo profondo e veritiero, i turbamenti, le preoccupazioni e in generale i sentimenti. Da quello che leggo nella scheda del libro, questo romanzo è stato scritto nei primi anni del matrimonio con Kingsley Amis. Di cosa si parla? Si parla di matrimonio e di legami, e della solidità di questi legami: quella apparente e quella reale e sostanziale. Ed Elizabeth Jane Howard di legami nella sua vita ne ha avuti diversi, finiti tutti male proprio per la sua intensità emotiva, il suo buttarsi a capofitto nelle situazioni senza valutarne i rischi o tenere a freno la propria immaginazione impulsiva, tutte cose che però – come riconosce Artemis Cooper nella biografia che le ha dedicato – hanno contribuito a renderla la grande autrice che è diventata, apprezzata in tutto il mondo. Ma entriamo meglio nell’argomento.

Anne ed Edmund Cornhill sono una coppia benestante sulla quarantina, sono sposati da molto tempo e vivono nella loro dimora in campagna vicino Londra, dove lui va sempre a lavorare. Edmund si occupa di questioni immobiliari, Anne invece bada alla casa, cura il giardino, sceglie cosa preparare al marito quando tornerà a casa e si occupa della gatta incinta. Sono felici, hanno una vita che scorre tranquilla senza alti né bassi. Un giorno, la matrigna di Edmund (ex moglie di suo padre) li avvisa che manderà per un periodo da loro la figlia Arabella, avuta con un altro dei suoi tanti mariti, una ragazza un po’ smarrita a cui probabilmente faranno bene la stabilità e la serenità dei Cornhill. Arabella è bellissima; arriva con tantissime valigie piene di abiti bellissimi e firmati e di oggetti pregiati. Anne ed Edmund non hanno figli, quindi sulle prime sentono di doversi prendere cura di lei, di farle momentaneamente da genitori, ma ben presto si rendono conto che la ragazza sconquasserà l’equilibrio che pensavano di avere, in un modo che poi anche per il lettore sarà inaspettato.
Parallela a questa, scorre la storia di Henry, l’uomo con cui Arabella ha rotto la relazione, il motivo per cui la ragazza è ancora turbata e sembra a stento tenersi a galla nella propria vita. Henry ha una moglie, Janet, a cui la Howard dedica una parte di questa storia che però risulta secondaria, forse perché – anche se la loro vita va avanti – rappresenta il passato di Arabella, anche se il presente di Henry. Il trait d’union fra i due matrimoni principali è comunque Arabella.

«Se si vuole descrivere un matrimonio tre sono gli elementi da tenere in considerazione: il marito, la moglie e il matrimonio in sé. Il matrimonio è l’isola su cui i coniugi prendono vita o meno. Elizabeth Jane Howard queste cose le sa; anzi, che sappia tutto? Nei suoi romanzi, il matrimonio tra forma e contenuto sembra perfetto; il divorzio è da escludere. Lei è una di quelle romanziere che con la loro opera ci mostrano a cosa serve il romanzo. Ci consente di vedere quando siamo miopi».

(dall’introduzione di Hilary Mantel)

Come ci fa notare Hilary Mantel a un certo punto della sua introduzione, sarebbe stato troppo semplice se Arabella fosse stata la classica ragazza seduttrice e basta, quella ricca che vive a ruota libera e crede di potersi permettere tutto, anche di prendersi una persona sposata solo perché le va. No, Elizabeth Jane Howard ce la rende piacevole, ce la fa quasi amare, perché possiamo comprendere appieno il suo personaggio e anche parteggiare per lei, rendendoci difficile stabilire un confine fra giusto e sbagliato. Arabella ha delle enormi carenze d’affetto, se sul lato economico non le è mai mancato nulla, e anzi ha avuto molto più di tanti altri, nel corso della sua vita ha visto la madre preoccuparsi più di cambiare marito che di crescere affettuosamente la figlia. Ha vestiti bellissimi, ha oggetti di valore, ma non sa bene cosa sia l’amore, come funzionino gli affetti. Può intraprendere una relazione per noia e stufarsene subito. E lo sa, ne è consapevole, è come se non riuscisse a non essere quella che è. Ed è proprio questo che ce la rende cara, che fa sì che non la odiamo e non la vediamo come elemento disturbatore della quiete familiare dei Cornhill.

«Io in realtà mi sento imprigionata, ma sento anche di avere una libertà totale, terrificante. Posso andare ovunque, fare qualsiasi cosa mi passi per la mente, e non ha nessunissima importanza.»

In Quel tipo di ragazza Elizabeth Jane Howard ci fornisce un ritratto di una felicità apparentemente solida e ci fa riflettere su quanto spesso evitiamo di guardare sotto la superficie delle cose. E in quest’ultimo caso basta un piccolo elemento di “disturbo” o semplicemente qualcosa di imprevisto a stravolgere tutto quello che pensavamo indistruttibile. Come abbiamo già detto, i matrimoni descritti in questo romanzo sono due (anche se uno ha meno spazio dell’altro), e il passaggio di Arabella porterà a epiloghi diversi: c’è chi ne esce totalmente annientato e chi, forse, può imparare a capire che la vita non è semplice come pensiamo e che gli equilibri non sono eterni, ma si possono modificare, nel bene o anche nel male.

Buona lettura!

Titolo: Quel tipo di ragazza
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 22 novembre 2022
Pagine: 338
Prezzo: 20 €
Editore: Fazi

La casa dei delfini | Audrey Schulman

Negli anni Sessanta, la giovane Margaret Lovatt partecipò a un progetto nelle Isole Vergini finanziato dalla NASA e diretto dal professor Lilly che mirava a insegnare ai delfini il linguaggio umano – a parlare in inglese, nello specifico. Questo, sfruttando la grande intelligenza di questi cetacei. La ragazza doveva vivere con queste creature in una specie di casa riempita d’acqua per insegnare loro a parlare, ma l’esperimento non andò come previsto e la cosa fece scalpore, se ne parlò praticamente ovunque (non entro nei dettagli, ma potete trovare tantissimi articoli sul web digitando anche solo il nome di Margaret nella casella di ricerca). Ma quel progetto, probabilmente, sarebbe naufragato comunque, dato che il dottor Lilly si interessò più all’LSD e agli allucinogeni, che voleva perfino somministrare agli animali, usando tecniche che oggi riterremmo aberranti. E all’epoca i movimenti animalisti non venivano presi in considerazione come oggi.
A questa vicenda realmente accaduta si è ispirata Audrey Schulman, che ha scritto La casa dei delfini, uscito lo scorso 15 giugno per edizioni e/o nella traduzione di Silvia Montis.

Protagonista della storia è Cora, una ragazza sorda e dai tratti esotici che viene assunta dal professor Blum e dai suoi assistenti per studiare i delfini. Se in un primo momento le viene chiesto di segnare tutto ciò che fanno gli animali e a che ora lo fanno, poi i tre uomini si accorgono che i delfini si sono affezionati a lei, l’hanno accettata e addirittura si fidano di lei. Per questo motivo, cercano di osare di più, cioè di utilizzare lei per insegnare ai cetacei a comprendere e poi a parlare il linguaggio umano. Prima Cora prova con tutti e quattro i delfini nel centro di ricerca e poi viene deciso che andrà a vivere in una sorta di casa-acquario insieme a uno di loro Junior, quello che sembra il più piccolo e quindi quello che potrebbe apprendere in maniera più semplice. L’esperimento procede e Cora ha un rapporto sempre più stretto con questi meravigliosi animali, ma a un certo punto qualcosa va storto e Cosa si trova a dover salvare sia i delfini che se stessa da un enorme scandalo.

Margaret Lovatt e Peter

Se la vicenda generale si ispira quasi completamente a quella reale in cui era coinvolta la Lovatt, Margaret e Cora sono due persone diverse. A Cora vengono aggiunti dei tratti esotici e la sordità, che nell’economia del romanzo risulterà molto utile nella comprensione profonda che instaurerà con i delfini (pensiamo a quanto può essere suggestiva un’interazione fra un animale che non parla la lingua umana e una donna che non può sentirlo). Lei ha perso l’udito quando era piccola e per questo – ma anche per altri motivi di cui parleremo dopo – ha sempre avuto delle difficoltà a relazionarsi con gli altri umani. Immergendosi in acqua, però, si rende conto di riuscire a sentire meglio i versi dei cetacei, perché non avverte tanto i suoni quanto le vibrazioni che essi emanano e che si riverberano nell’acqua. Lei riesce a diventare la loro unica amica, l’unica ancora di salvezza dagli scienziati a cui interessa solo aprire loro il cranio con un trapano e poi ributtarli in acqua terrorizzati. A un certo punto, però, Cora percepisce quasi di non far più parte della “squadra” umana, si sente un mero strumento di ricerca, quella che viene usata per raggiungere lo scopo. Tranne quando si tratta della sua fisicità, perché il rapporto della ragazza con il genere maschile non è mai stato sereno: viene guardata, esaminata, quasi molestata, com’è sempre accaduto nella sua vita (per questo è un romanzo che parla anche di femminismo e corpo femminile).
Lei, per riuscire ad avere il controllo di ciò che sta facendo, deve riuscire a essere più di loro, quindi studia, si informa, deve stupirli, deve far capire a Blum e agli altri scienziati che non è lì semplicemente per eseguire degli ordini. E il modo in cui finirà l’esperimento sarà proprio la conferma del fatto che è andata oltre e che il comando, in fondo, lo ha avuto lei.

In generale Cora preferiva stare sott’acqua. Lì almeno vedeva con chiarezza cosa stava succedendo. I delfini l’accettavano senza commenti, studiandola incuriositi. Erano volatili eleganti e muscolosi che planavano nell’acqua scintillante, avvitandosi o scendendo in picchiata.

La casa dei delfini è un romanzo molto interessante che inizia quasi in sordina, quando Cora si imbatte in Blum e nei delfini. Schulman racconta in maniera quasi analitica e scientifica tutta la storia, specificando all’inizio di ogni capitolo il luogo e il giorno in cui si svolge l’azione, come il diario di un esperimento. Ho avuto l’impressione che la narrasse anche in maniera piuttosto misurata, che non fosse il linguaggio usato a coinvolgere emotivamente il lettore ma i semplici fatti. Fatti che poi inevitabilmente vanno oltre le aspettative dei ricercatori, suscitando in noi che leggiamo la sensazione che accadrà qualcosa di tremendo, sia alla ragazza che ai delfini, nello specifico a Junior (che nella storia vera accaduta alla Lovatt è Peter).

Come ho già detto prima, in rete potete trovare moltissimi articoli che parlano di quel che accadde negli anni Sessanta e anche tantissimi video su Youtube in cui si vede Margaret che parla con Peter facendogli ripetere delle parole. (Bisogna che faccia un appunto: nel libro i delfini riescono a ripetere in modo stentato qualche parola, nella realtà l’apparato fonatorio dei delfini non glielo permette, ma riescono a riprodurre il ritmo delle sillabe e delle frasi, e i video veri di Peter sono incredibili.) Il consiglio che vorrei darvi è, però, di leggere prima questo romanzo – qualora vi abbia incuriosito – e poi di cercare su Google testimonianze e materiale scritto e visivo di quel famoso esperimento naufragato in modo clamoroso.

Buona lettura!

Titolo: La casa dei delfini
Autore: Audrey Schulman
Traduttore: Silvia Montis
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 15 giugno 2022
Pagine: 338
Prezzo: 18 €
Editore: edizioni e/o


Audrey Schulman – è autrice di sei romanzi: La gabbia (Polillo 1999), Tre settimane a dicembre (E/O 2012), Swimming with Jonah, A House Named Brazil, Theory of Bastards, col quale ha vinto il premio Philip K. Dick e il Darthmouth College’s Neukom Literary Award nel 2019, e La casa dei delfini (E/O 2022). I suoi libri sono stati tradotti in più di dieci lingue. Nata in Canada a Montréal, vive a Cambridge, in Massachusetts, dove dirige HEET, un ente non profit che si occupa di ecosostenibilità.

Il letto di Acajou (Le dame del Faubourg vol. 2) | Jean Diwo

Sei proprio deluso!
Scaccia queste idee funeste:
la vita cambia e ricomincia di continuo.
Se oggi tutto è disillusione,
domani il sole tornerà a splendere nel tuo cuore.

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Innanzitutto, buon rientro dalle vacanze a tutti coloro che passano da qui, spero che le abbiate passate nel modo più sereno possibile. Io non prendo le ferie in modo convenzionale, ma quando posso, e in più ultimamente sono in ritardo con le letture e con le date d’uscita. Motivo per cui vi parlo solo oggi di un romanzo uscito i primi di luglio. Si tratta de Il letto di Acajou, il secondo volume della trilogia de Le dame del Fabourg di Jean Diwo, uscito lo scorso novembre? Vi ricordate che ne abbiamo parlato qualche mese fa? No? Allora facciamo un brevissimo riassunto (oppure andiamo a recuperare il post). La storia, nel volume precedente, inizia nel 1471, quando il giovane Jean Cottion si presenta nel Faubourg Saint Antoine da Pierre Thirion con il suo bastone da compagnon (apprendista) per l’ultima tappa del suo tour della Francia. A quel tempo, infatti, si usava andare di bottega in bottega in diverse città per apprendere trucchi del mestiere e affinare la propria arte di ebanista. Da lì comincerà una vera e propria dinastia di artisti dei mobili, generazioni che si succederanno una dopo l’altra intorno all’abbazia, un luogo particolarmente importante. Negli anni cambiano moltissime cose, gli eventi a cui assistiamo sono tantissimi, e il romanzo si conclude il 13 luglio del 1789, il giorno prima della presa della Bastiglia. Ed è qui che, a sua volta, inizia Il letto di Acajou, e la protagonista per gran parte della storia è Antoinette, figlia del grande Oeben e imparentata anche con Riesener, che adesso è sposata con il barone Valfroy ed è madre naturale di Lucie e madre adottiva di Ethis, un bambino che aveva incontrato nella cattiva sorte e che ha poi cresciuto lei.

Anche in questo secondo capitolo della trilogia di Diwo, gli eventi narrati sono moltissimi, ma la differenza rispetto al primo sta nel fatto che l’arco temporale in cui si svolge la vicenda è più limitato: si fa riferimento alla vita della protagonista, perché la storia si conclude qualche anno dopo la sua morte, nel 1819. Sono trent’anni in cui il Paese, Parigi e il faubourg subiscono moltissimi cambiamenti; la Rivoluzione ha modificato la vita dei francesi e ha insegnato loro a vivere in un altro modo, ed essa stessa poi è stata soppiantata da un nuovo periodo. L’abbazia di di Saint-Antoine-des-Champs non esiste più, e nemmeno le badesse. Ora il titolo di dama del faubourg sembra essere passato di diritto ad Antoinette, una figura importantissima nel quartiere, una donna brillante e molto saggia, discendente da una stirpe di ebanisti e artisti famosi in tutta la Francia. Lei riprende la tradizione della madre e ogni mercoledì ricomincia a tenere delle riunioni in casa sua, dei veri e propri salotti a cui partecipano personaggi importanti (reali e fittizi) che disquisiscono sui temi dell’attualità di quel periodo.

Hai ragione, mia piccola Marie. Il vento del Faubourg soffia sui nostri incontri e aiuta i pensieri a prendere il volo.

Anche qui incontriamo tanti personaggi realmente esistiti che compaiono in questa storia romanzata. Vediamo Georges Jacob, il pittore David, Napoleone, ma anche il noto Eugène Delacroix, che Diwo descrive come figlio illegittimo della sorella di Antoinette, Charlotte, e Talleyrand, come si crede in realtà, perché il padre, Delacroix, al tempo della sua nascita era sterile. L’autore ci guida nel quartiere in cui lui stesso è nato e ci racconta la storia dell’arte del mobile, ma anche la storia della Francia, con comparse importanti, personaggi appassionanti e una protagonista che difficilmente si riesce a dimenticare. Anche i mobili, descritti così bene nella loro fattura e nel momento della produzione, subiscono dei cambiamenti: gli stili di una volta passano di moda, vengono sostituiti dal moderno. A volte è solo questione di tempo perché si prevede già un ritorno al precedente; altre volte gli stili vecchi vengono dimenticati del tutto.

Diwo, formatosi alla scuola dei grandi quotidiani, lascia la carriera di giornalista proprio per cominciare a scrivere questa saga che ruota attorno alle figure di grandi donne. Che siano badesse, borghesi o che facciano parte della discendenza di grandi ebanisti, sono sempre donne di grande ingegno, di grande arguzia e saggezza che sembrano essere la forza motrice delle azioni di tutti gli altri personaggi, quelle da cui spesso e volentieri dipendono gli eventi. In questo secondo volume della trilogia, Antoinette farà una cosa molto importante: rientrati tutti in possesso della vecchia casa dei Thirion, sarà lei a ritrovare un contatto con il mondo ormai passato dei secoli precedenti, riscoprendo in soffitta, insieme alla figlia e alla nuora, vecchi oggetti impolverati appartenuti ai suoi antenati. Compreso un bellissimo bastone da compagnon, che accompagnerà Bertrand, il figlio di Ethis, nel suo tour della Francia.

I due giovani, che avevano iniziato a esplorare la soffitta solo per far piacere a Réveillon, adesso sembravano affascinati da quell’oggetto, testimonianza dell’esistenza terrena di diverse generazioni di maestri, compagnon e artigiani emigrati dalle province e dall’estero per fondare la comunità del legno del faubourg Saint-Antoine. Marie accarezzava con le dita gli angioletti di Jean Cottion come avevano fatto prima di lei Èlisabeth, la pensionante del convento, Anne e tante altre. Al contatto col legno avvertì il lieve fremito voluttuoso che avevano provato gli innamorati dei tempi passati.

In attesa del volume conclusivo di questa bellissima, storia, buona lettura!

Titolo: Il letto di Acajou
Autore: Jean Diwo
Traduttore: Luisa Rigamonti
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 1 luglio 2022
Pagine: 702
Prezzo: 20 €
Editore: 21lettere


Jean Diwo – Nato a Parigi nel 1914, Jean Diwo debutta nel giornalismo lavorando a Paris-Soir per pagarsi gli studi di Lettere moderne alla Sorbona. Dopo la morte della moglie, nel 1981, da poco in pensione, Diwo si dedica alla scrittura di romanzi storici, ottenendo un rapido successo di pubblico e critica. In un’intervista nel 2006 commenta “I libri mi hanno salvato, mi hanno offerto una seconda vita”. L’autore si spegne nel 2011, all’età di 96 anni.