Il lupo | Garry Marvin

Il destino del lupo è sempre stato quello di essere una creatura
troppo maestosa e possente perché l’uomo potesse ignorarlo:
il suo futuro dipende oggi dal tipo di attenzione
che gli uomini vorranno riservargli.

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La collana Animalìa di Nottetempo l’ho scoperta solo qualche mese fa, quando, proprio per la mia passione per la saggistica su natura e animali, mi è stato consigliato di leggere Il falco di Helen Macdonald, naturalista e scrittrice britannica che seguo volentieri anche su Twitter. Quel libro mi era piaciuto molto e tra l’altro mi ha fatto conoscere la collana in cui è inserito, che raccoglie – come leggiamo sulla bandella – «monografie agili, divulgative e con un ricco apparato iconografico». Si tratta di saggi molto interessanti in cui un autore si dedica in particolare a un animale raccontandolo con un approccio multidisciplinare, cioè, non fermandosi al punto di vista della storia naturale, ma parlando al lettore di come quell’animale sia stato visto nella storia, di quale impatto ha avuto sul mondo artistico, letterario, mitologico e, più in generale, culturale. Ecco che, infatti, quando il 26 agosto scorso è uscito Il lupo di Garry Marvin (nella traduzione di Anna Rusconi), sono stata subito curiosissima di leggerlo, anche perché il lupo è proprio uno degli animali che mi affascinano di più.

Nel primo capitolo Marvin ci racconta l’animale lupo, un parente del cane che, però, non si è lasciato addomesticare e, anzi, ha conservato la sua natura indipendente e selvaggia. Conosciamo un animale furbo, sempre all’erta e organizzato, che intorno a una coppia di riproduzione sviluppa un vero e proprio clan con delle gerarchie e delle regole che non bisogna mai infrangere; scopriamo come caccia, come si occupa dei cuccioli, come cuminica, come vive e anche come muore. Nei capitoli successivi, invece, si passa ad analizzare meglio i due volti che il lupo ha assunto nel tempo nell’immaginario collettivo: se da una parte si è sempre fatto temere dagli uomini (soprattutto nel mondo occidentale) perché distruggeva gli allevamenti e faceva irruzione nelle fattorie e quindi è stato demonizzato e visto come il simbolo di malvagità e cattiveria, dall’altra, invece, è stato spesso ammirato per la sua fierezza, per l’indomabilità e la forza che lo contraddistinguono.

Ovviamente, nel primo caso l’odio e la paura nei suoi confronti hanno portato alla nascita di leggende, non solo su lupi cattivissimi responsabili di uccisioni e catastrofi per la maggior parte spesso mai avvenute, ma anche su esseri che non erano né uomo né lupo e, allo stesso tempo, entrambe le cose, come i licantropi, a cui poi l’industria cinematografica si è ispirata per la nascita di un filone su questi terribili mostri. Tutto ciò ha condotto anche alla quasi totale sparizione di questo animale da Europa, America (a parte, a quanto sembra, Alaska e parte del Minnesota), Giappone e Russia a causa delle campagne di abbattimento dei lupi perpetrate in questi Paesi proprio perché minacciavano le attività dell’uomo, più che l’uomo stesso. Campagne che sono state anche molto crudeli (gli sterminatori si facevano scattare fotografie accanto a lupi martoriati e torturati) e in cui i cacciatori erano proprio sul libro paga dello stato.

Al centro dei conflitti tra uomo e lupo non c’è però semplicemente la questione se permettere o meno a un animale selvatico di condurre indisturbato la propria esistenza: qui l’animale in questione è il “lupo”, una creatura che continua a portare su di sé il peso di un’immagine tutta culturale. Perché, oltre a essere un animale in carne e ossa con le sue abitudini di vita, è altresì il risultato e la proiezione umana di istanze morali, sociali, economiche, politiche, estetiche ed emotive. E proprio queste istanze continueranno a decidere, come è accaduto per secoli, del diritto di sopravvivenza dei lupi, nonché delle modalità e degli spazi della loro esistenza.

Quando più di recente ci si è accorti che era diventato una specie a rischio, sono partite altrettante campagne in senso opposto: si è cercato di ripopolare gli spazi che da sempre appartenevano al lupo, creare parchi per la tutela della sua vita, dei luoghi dove potesse prosperare indisturbato senza che tornasse l’uomo a minacciarlo. Un ruolo molto importante in questo dietrofront lo hanno avuto nuovi studi che lo hanno proposto come animale con dei precisi codici e comportamenti da preservare, e non semplicemente come belva da temere, da combattere e da abbattere. Da qui, esattamente com’era accaduto all’opposto quando è stato demonizzato, la nascita di leggende e figure di lupi buoni che hanno pervaso la letteratura e l’arte. Pensiamo ai bambini cresciuti dai lupi: se ne raccontano diversi casi in India, per esempio, dove due Kipling (prima il padre e poi il figlio) hanno ambientato gran parte dei propri scritti; o ancora al cinema, dove in un film famosissimo un certo John Dunbar viene soprannominato Balla coi lupi perché prende confidenza con il lupo Due Calzini con cui fa anche una danza solitaria attorno al fuoco. O ancora lo scoutismo e le gerarchie dei lupetti.

Ma questa è solo una piccola parte di ciò che si trova in questo libro molto affascinante e pieno di fotografie e illustrazioni su questo animale magnifico, molte delle quali a colori. Se come me avete una grande passione per la natura e gli animali, vi consiglio di leggerlo e addirittura recuperare gli altri volumi, perché li trovo ben strutturati e godibili. E poi, una cosa che mi ha stupito molto è che, per tutte le fotografie presenti nel libro (qui ce ne sono 93, di cui 63 a colori), il prezzo è anche contenuto.

Buona lettura!

Titolo: Il lupo
Autore: Garry Marvin
Traduttore: Anna Rusconi
Genere: Saggistica
Data di pubblicazione: 26 agosto 2021
Pagine: 256
Prezzo: 18 €
Editore: Nottetempo


Garry Marvin è docente di Human-Animal Studies all’Università di Roehampton, a Londra. Tra i suoi ultimi libri, segnaliamo Handbook of Human-Animal Studies(con Susan McHugh, Routledge, 2014) e Human-Animal Studies: Global Perspectives (con Susan McHugh, Routledge, 2018). Insieme a Rebecca Cassidy cura una nuova collana di Routledge sullo studio delle relazioni tra uomo e animale, intitolata “MultiSpecies Anthropology: New Ethnographies”.

Briciole | Seni e uova | Senti chi parla | La combattente

Cari lettori, per molti sono finite le vacanze. Spero che le vostre siano andate bene, o almeno che le abbiate passate serenamente, anche se con questo clima generale è difficile, e spero anche che il rientro al lavoro non sia stato troppo duro. Vi sarete accorti che quest’estate, escluso l’ultimo post della settimana scorsa, qui ho scritto poco, ma ho preferito alleggerire un po’ la mente e parlare in modo più rapido delle letture estive su Instagram, dove qualcuno di voi mi segue (se non lo fate ancora e vi fa piacere, mi trovate come @valeh89). Per questo motivo, torno qui con la rubrichetta Briciole, cercando di raccogliere alcuni di questi miei ultimi commenti per parlare a chi mi segue solo qui di qualcuno dei libri che ho letto negli ultimi mesi.
Spero che i consigli possano risultarvi graditi e, se vi va, raccontatemi come sono andate le vostre vacanze, se le dovete ancora fare, e cosa avete letto di bello.
Buona lettura!

«Ora, estate 2008, ho trent’anni e non sono quasi per niente la donna che sognavo di essere quando ne avevo venti e mi sforzavo di immaginare il mio futuro.»

Seni e uova è un romanzo di Mieko Kawakami pubblicato da Edizioni e/o ad agosto dello scorso anno nella traduzione di Gianluca Coci. Non è esattamente una delle ultime novità, quindi, ma credo sia un libro a cui dedicarsi con calma. È la storia di tre donne: Natsuko, scrittrice alle prese con le difficoltà del mestiere, la sorella Makiko e la figlia di quest’ultima, Midoriko. La vicenda si svolge in due periodi diversi: nella prima parte Makiko va a Tokyo perché vuole mettersi delle protesi al seno, con Midoriko ancora piccola che non capisce l’esigenza della madre, né il fatto che il suo stesso corpo cresca, e decide di non parlare più.
Dieci anni dopo, invece, è Natsuko che torna nella sua Osaka, e ormai quasi allo scadere dell’età giusta vuole intraprendere un percorso per diventare madre da sola.
Si tratta del viaggio intimo di tre donne, prese nei loro turbamenti e in tre dei periodi “critici” della vita femminile: l’adolescenza, quando il tuo corpo cambia e non riesci a reggere il peso di un tale sconvolgimento; quando passi l’età in cui quasi tutte diventano madri e ti rendi conto che per te è quasi troppo tardi, quindi ti chiedi se sia davvero ciò che vuoi e scegli di imbarcarti nell’impresa o di non farlo; e quando, dopo la maternità, devi convivere con un corpo diverso, che non è più quello di una volta, un corpo che pensi di voler “aggiustare”.
Una storia in cui emerge forte e chiaro il sentire femminile, praticamente in tutte le sue sfaccettature. Qualcosa che colpisce dritto al cuore, che il lettore sia una donna o meno.
DETTAGLI: Seni e uova, Mieko Kawakami, trad. Gianluca Coci, Romanzo, Letteratura giapponese, 624 pp., edizioni e/o, 26 agosto 2020, 19,50 €


«Perché gli svassi si scambiano alghe e piante acquatiche danzando? Perché gli Anatidi hanno tutti danze simili? Perché gli uccelli cantano? È puro istinto o devono imparare a cantare? Cosa si dicono? È cercando di rispondere a questi dubbi, una decina d’anni fa, che ho iniziato a studiare e a scoprire di più sulla comunicazione animale tutta.»

Data la mia grande passione per la saggistica sulla natura e sugli animali, ho voluto leggere Senti chi parla di Francesca Buoninconti, uscito lo scorso 28 aprile per Codice Edizioni. Si tratta di un libro molto interessante che, come suggerisce il titolo stesso, tratta il tema della comunicazione nel regno animale. Cosa si dicono gli animali? La loro comunicazione è solo intraspecifica (cioè, avviene all’interno della singola specie) o può essere anche interspecifica (fra specie biologiche diverse)? Ma, soprattutto, come avviene? A questo proposito l’autrice divide il volume in tre parti, ognuna delle quali descrive i comportamenti di determinati animali in base all’uso di tre dei cinque sensi: la vista (quindi tutte quelle azioni compiute per segnalare visivamente qualcosa a simili e non), l’udito (suoni, versi, ruggiti, canti) e l’olfatto (“odori bestiali”, “fragranze letali”).
Buoninconti è una naturalista e giornalista scientifica, per Codice ha già pubblicato “Senza confini” che tratta di storie degli animali migratori. Scrive di scienza, natura e clima per varie testate ed è al microfono di Radio3 Scienza.
Se anche voi siete curiosi di scoprire in maniera divertente, fresca e per nulla noiosa che cosa succede fra gli animali quando si trovano a dover comunicare qualcosa (anche in maniera ingannevole, perché sì, molti animali sanno mentire!), allora questo è il testo giusto.
DETTAGLI: Senti chi parla, Francesca Buoninconti, Saggistica, Letteratura italiana, 372 pp., Codice, 28 aprile 2021, 24 €


«Perché una morte arriva a innescare un vortice inarrestabile di sofferenze?»

Angelita è una scrittrice ed ex giornalista. Ha da poco perso per una grave malattia Fabrizio, compagno di vita da trent’anni e sta iniziando a fare i conti con la solitudine, con la “vedovanza”. Abita da sola nella vecchia casa di famiglia, ed è proprio lì che un giorno, per caso, dietro un mattone leggermente spostato di un muro, trova qualcosa che apparteneva a Fabrizio e che racconta di un passato dell’uomo di cui Angelita non ha mai saputo nulla. Fra mille dubbi e paure, le incertezze sull’uomo che ha avuto accanto e ha amato per moltissimi anni la spingono a indagare, a fare un viaggio a ritroso negli anni Settanta (il periodo relativo agli oggetti ritrovati) per scoprire chi fosse veramente Fabrizio e cosa gli fosse capitato.
Questa è a grandi linee la storia che Stefania Nardini racconta nel suo romanzo La combattente, uscito il 9 giugno per Edizioni e/o. Ma non è solo la vicenda di una donna sola, di una che ha perso il suo sostegno e deve ricostruire la sua esistenza ormai solitaria; è anche la ricostruzione dei fatti che interessano la storia di un periodo storico come quello degli anni Settanta, fatto di fughe, ideali, nascondigli, compromessi e decisioni dolorose per cui sacrificare anche gli affetti più grandi.
Angelita, narrando in prima persona le sue vicende, ci fa entrare nel suo cuore, ci descrive ciò che prova e condivide con noi tutto il suo smarrimento, la paura, i problemi di denaro.
Quello di Nardini è un romanzo molto interessante e gradevole, ma soprattutto è un approfondimento interessante su un momento storico davvero complicato.
DETTAGLI: La combattente, Stefania Nardini, Romanzo, Letteratura italiana, 156 pp., edizioni e/o, 29 giugno 2021, 15 €

Cieli neri | Irene Borgna

Un’altra notte è finita,
riprendiamoci la notte per restituirla a chi verrà dopo,
a chi ne ha bisogno oggi.

 

Avete mai visto dal vivo uno di quei cieli stellati meravigliosi che di solito ammiriamo nelle fotografie scattate qua e là per il mondo? No? C’è un motivo, e ce lo spiega bene Irene Borgna nel suo Cieli neri, uscito lo scorso febbraio per Ponte alle Grazie. Si tratta di una sorta di diario del viaggio che l’autrice fa con il compagno Emanuele e la cagnolina Kira dalle alpi Marittime al Mare del Nord a bordo di un camper, un viaggio che servirà ai tre per poter vivere l’esperienza della notte, quella vera che ormai non esiste più quasi da nessuna parte. Se l’avete vista davvero significa che abitate in luoghi lontani dalle grandi città e poco illuminati. È infatti la luce artificiale che ci priva della bellezza del manto nero del cielo notturno punteggiato di stelle e che crea un vero e proprio inquinamento luminoso che influenza le nostre vite.

Sapevate che l’Italia in illuminazione – spesso inutile – spende più del doppio della Germania e il doppio della Francia? Sapevate che la luce a LED è così forte, dentro le nostre case, da stravolgere i nostri ritmi sonno/veglia perché il nostro corpo, abbagliato da essa, pensa che la notte (quando accendiamo queste luci perché al buio non vedremmo nulla) in realtà sia il giorno? Sapevate che c’è una convinzione diffusa che la luce equivalga alla sicurezza personale? Che se decido di andare a correre in una strada ben illuminata ci sono meno probabilità che io venga aggredita? Cose, queste, non vere, come dimostra un esperimento condotto a Chicago nel 1998, quando fu potenziata l’illuminazione pubblica per combattere la criminalità; i funzionari della giustizia penale conclusero che gli attacchi nelle zone meglio illuminate erano identici per numero a quelli nelle zone più buie.

Questo e tanto altro troverete dentro Cieli neri, questo libro che mi è sembrato molto interessante dato soprattutto l’interesse che ho sviluppato negli ultimi anni per questo genere di temi. Chissà in quanti sono rimasti oggi a poter godere della notte vera come si faceva una volta!
Io comunque vi lascio qui uno stralcio dell’introduzione di Irene Borgna e, come sempre, buona lettura.

Impianti nati per vederci meglio e farci sentire più sicuri nel buio hanno cancellato l’esperienza della notte così come l’ha vissuta buona parte della specie umana fino a un secolo fa. Se la notte è antica quanto il nostro pianeta, la notte luminosa invece è giovane: è nata poco più di cent’anni fa con l’illuminazione pubblica e da circa trent’anni sta diventando la norma per buona parte dell’umanità – di fatto siamo i primi terrestri a testarne gli effetti in un gigantesco esperimento sulla nostra pelle e su quella di tutte le altre specie viventi. Dallo stupore per la luce elettrica rischiamo di passare in meno di un secolo alla meraviglia per un cielo stellato sempre più raro.

Titolo: Cieli neri
Autore: Irene Borgna
Genere: Saggistica
Data di pubblicazione: 4 febbraio 2021
Pagine: 194
Prezzo: 15 €
Editore: Ponte alle Grazie


Irene Borgna – un dottorato di ricerca in antropologia alpina con Marco Aime, ha fatto della montagna la sua passione e il suo mestiere. Nata a Savona nel 1984, si è trasferita in Val Gesso, dove si occupa di divulgazione ambientale e fa la guida naturalistica, portando a spasso gli escursionisti fra cime e rifugi. Nel Pastore di stambecchi ha raccolto la testimonianza di Louis Oreiller, rispettandole sue straordinarie doti di narratore e il suo parlato antico (Ponte alle Grazie, 2018, menzione speciale al Premio Rigoni Stern).

Quando abbiamo smesso di capire il mondo | Benjamín Labatut

Il fisico – come il poeta – non deve descrivere i fatti del mondo,
ma creare metafore e connessioni mentali.
Da quell’estate in poi, Heisenberg capì che applicare i concetti
della fisica classica – come posizione, velocità e movimento –
a una particella subatomica era uno sproposito madornale.
Quell’aspetto della natura richiedeva una lingua nuova.

 

Sono sempre stata una persona molto curiosa, mi interessa un mucchio di roba, ma soprattutto ciò che sta dietro le cose, ciò che le ha fatte nascere, che ha portato alla loro scoperta o chi ne è stato responsabile. Questo è uno dei motivi per cui quando ho saputo che Adelphi avrebbe pubblicato Quando abbiamo smesso di capire il mondo ho aspettato con grande ansia l’uscita. Si tratta del terzo libro di Benjamín Labatut, che qui ci regala storie vere e apparentemente incredibili che hanno portato il mondo a essere ciò che oggi, nei fatti, è. Labatut si propone di ricostruire vicende che hanno deciso la nascita della scienza moderna, non descrivendone in maniera distaccata le dinamiche, bensì entrando nella storia, nella mente dei protagonisti. Ciò che appassiona di più è sicuramente il modo in cui queste vicende si legano, il modo in cui i racconti si intrecciano e i personaggi si incontrano.

Labatut tratta tanti argomenti diversi e lo fa in modo molto coinvolgente, oltre che romanzato. Parla della scoperta casuale del blu di Prussia da parte di un alchimista che intorno al Settecento decide di dimenticarsene, considerandolo solo un errore. Di Fritz Haber che scopre un composto micidiale a base di cianuro che verrà utilizzato durante la battaglia di Ypres contro i nemici, ma che vincerà anche il Nobel per essere riuscito a estrarre l’azoto dall’aria, dando poi vita alla nascita dei fertilizzanti che permisero alla popolazione mondiale di crescere di numero conseguentemente alla velocizzazione dei processi agricoli. Ci racconta, sempre a proposito del cianuro, che solo un indiano ha saputo dire che sapore abbia, perché è stato l’unico, dopo averlo ingerito, ad avere qualche secondo per raccontarlo, e di come solo una percentuale della popolazione mondiale riesca a sentirne l’odore perché dotata di un gene particolare che glielo permette (nelle camere a gas dei campi di sterminio, molti infatti non sentirono l’odore di mandorle amare della morte incombente provocata dallo Zyklon B).
O ancora, Labatut ci racconta del rapporto fra Einstein e Karl Schwarzschild, astronomo, fisico, matematico e tenente dell’esercito tedesco, che gli ha mandato una lettera in cui comunicava la prima soluzione esatta alle equazioni della teoria della relatività generale.

Per capire il mio lavoro dovete disattivare gli schemi di pensiero che avete installato nei vostri cervelli e che avete dato per scontato per così tanti anni.

Ma c’è anche la storia di Shinichi Mochizuki che nel 2012 sul suo blog pubblica quattro articoli contenenti la dimostrazione di una delle congetture più importanti della teoria dei numeri, ovvero a+b=c, senza che nessuno, finora, sia stato in grado di capirla perché presupponeva che ogni schema usato fino a quel momento venisse abbandonato in favore di una visione completamente nuova della scienza matematica e del mondo. Una storia che si lega a quella di Alexander Grothendieck, che qualcuno supponeva avesse quasi contagiato Mochizuki, che parlava del “cuore del cuore”, qualcosa che era difficilissimo raggiungere e addirittura vedere, ma di cui ci arrivavano solo riflessi. Grothendieck passò parte della sua vita in solitudine e quasi spaventato dalle conclusioni a cui era arrivato tramite i suoi ragionamenti. Qualcosa che probabilmente vide anche Mochizuki, chissà.

Dalla pagina FB di Adelphi, una piccola galleria di alcune delle personalità che compaiono nel libro

E incredibile è anche la storia di Heisenberg (collegata anche a quella di Schrödinger e De Broglie), che durante il suo soggiorno a Helgoland si accorge che bisogna smettere di capire il mondo come lo si era fatto fino a quel punto e adottare un punto di vista del tutto nuovo. Racconto che dà il titolo a questo libro meraviglioso in cui c’è molto di più di quello di cui abbiamo parlato fin qui, e che offre moltissimi spunti di riflessione non solo sulle scienze ma soprattutto sull’etica e sulla natura umana, fonte di grandi scoperte ma anche causa di enormi catastrofi. È interessante il concetto del raggiungimento del cuore delle cose e del cambiamento totale del punto di vista sul mondo, cosa che a parole sembra così semplice ma che spesso non lo è, soprattutto quando significa smontare secoli di teorie e ricominciare da capo, anche costruendo nuove basi che all’inizio sembrano traballanti. Ma che col tempo potrebbero essere convalidate.
Labatut prende per mano il lettore e lo accompagna in questo filo di pensieri, storie e teorie che, se in un primo momento ci fa intendere che abbiamo una buona idea di come funzionano l’universo e la natura intorno a noi, poi instilla nelle nostre menti il dubbio che, alla fine, forse, il mondo non lo conosciamo così bene e che in fondo siamo così piccoli che non lo capiremo mai del tutto, nonostante la smania che abbiamo di farlo. E questo un po’ spaventa.

Buona lettura!

Titolo: Quando abbiamo smesso di capire il mondo
Autore: Benjamín Labatut
Traduttore: Lisa Topi
Genere: Saggistica / Racconti
Data di pubblicazione: 4 febbraio 2021
Pagine: 180
Prezzo: 18 €
Editore: Adelphi