Maternità | Sheila Heti

Io ero vecchia, le navi erano già salpate,
avevano preso il largo,
mentre io dovevo ancora arrivare alla spiaggia.
La mia nave non l’avevo neanche trovata.

 

Quando sei piccola e dici che un giorno non vorrai avere figli o che non ti piacciono i bambini sono tutti lì a dirti che un giorno cambierai idea, che nascerà in te l’istinto materno, che a un certa età è normale non sentirlo ma che poi diventerai adulta e donna e inevitabilmente sentirai il desiderio di generare una vita. I più romantici ti dicono che proprio quel desiderio sarà il coronamento del sogno d’amore con tuo marito. E se questo desiderio, una volta che sei cresciuta non lo senti? E se invece non fosse per forza frutto dell’amore per il tuo compagno ma un dovere sociale, quello di sposarsi e procreare? Questi sono pensieri che non abbiamo tutte, ma una buona parte di noi donne ci è arrivata almeno una volta nella vita, e di questi tempi forse ci vergogniamo di meno a parlarne. Non siamo più – anche se in tante resistono – nell’epoca in cui siccome sei donna sei costretta a far figli perché il tuo apparato riproduttivo serve a quello e deve essere usato. E anche per questo in letteratura cominciano a sorgere determinati problemi.

Sheila Heti lo scorso anno ha scritto Motherhood, un libro che è stato pubblicato nel 2019 da Sellerio col titolo Maternità, nella traduzione dell’ottima Martina Testa. È un romanzo che affronta il tema dell’essere madre, ma non – in maniera banale – mettendo al centro della storia una donna che vuole andare contro le regole tacitamente imposte dal genere umano e non figliare, bensì rendendoci partecipi delle riflessioni di una donna che a trentasette anni non riesce a capire, non solo se non vuole un figlio, ma neanche perché si pone questo problema, se, cioè, siano certe sovrastrutture a farla dubitare dei suoi desideri. La protagonista si fa tantissime domande, alcune le affida perfino al giochino dell’I Ching, lancia dadi, verrà fuori un sì o un no.

Miles ha detto che la decisione spetta a me: lui non vuole figli a parte quella che ha già avuto, abbastanza casualmente, quando era giovane, che vive con la madre in un altro paese e passa da noi le feste e metà dell’estate.
Se proprio voglio un figlio possiamo anche farlo, ha detto, però devi essere sicura.

Lei è una donna libera, una scrittrice che ha pubblicato sei libri quando sua cugina ha messo al mondo sei figli, ha un compagno, Miles, che non la spinge verso nessuna decisione anche perché lui una figlia ce l’ha già da una precedente relazione. Ha trentasette anni, appunto, e l’orologio biologico ticchetta, lei continua a rimuginarci e nel frattempo il tempo potrebbe scadere, chi lo sa? Poi potrebbe essere troppo tardi. E se invece – si chiede – questo continuo riflettere fosse un modo per temporeggiare, per far sì che il tempo scada e quindi la decisione, in un certo senso, si prendesse da sola?
Le sue elucubrazioni non sono una strada che ci porta ad abbracciare la tesi della donna libera che può anche non sottostare a leggi non scritte e non regalare al mondo un pargolo. Lei stessa non sa cosa vuole, non vuole dimostrare niente, solo giungere a una soluzione. L’unico modo per riuscirci è guardarsi dentro, scavare dentro di sé, con un supporto o da sola, e rendersi conto di cosa ha dentro.
Alla fine giungerà per forza a una decisione, ma la parte più importante del libro non è quella, non ci sono misteri da svelare. Quello che conquista, che fa innamorare delle parole della Heti, è il modo in cui analizza ogni cosa, in cui dal continuo confronto con gli altri (persone con figli, senza, o che hanno trovato altre strade) riesca a vedere meglio se stessa.

Si dice spesso che avere o meno dei figli è la decisione più grande che uno possa prendere. Sarà anche vero, ma al tempo stesso non significa nulla. Le decisioni avvengono nell’intimo della mente. Non sono azioni. Perché in una vita succedano delle cose, bisogna che partecipino altre persone. Bisogna volerlo. Tutta una serie di cose devono funzionare insieme. La vita stessa deve volerlo. Una decisione mentale è ben poca cosa. Non basta a far nascere i bambini. Se non è una decisione mentale a far nascere i bambini, perché passo così tanto tempo a pensarci?

Ho voluto fortemente leggere Maternità perché ne ho sentito parlare molto e il tema mi ha sempre incuriosito, essendo io una persona che sente molto le “costrizioni invisibili” e le aspettative sociali, e che ne soffre. Questo libro porta a riflettere non solo sulla scelta di voler avere figli o meno, ma in generale sull’essere donna e su tutto ciò che ne deriva, cosa che lo rende interessante e importante non solo per il genere femminile, ma anche per un pubblico maschile. Ogni pagina è fonte di ispirazione e il rischio è quello – e infatti mi è capitato – di sottolineare tutto il libro e spargere appunti qua e là.
Sellerio qui ci ha davvero consegnato una chicca.

Buona lettura!

Titolo: Maternità
Autore: Sheila Heti
Traduttore: Martina Testa
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 21 marzo 2019
Pagine: 290
Prezzo: 16 €
Editore: Sellerio


Sheila Heti – nata a Toronto nel 1976, è autrice di una raccolta di racconti e del romanzo Ticknor, tradotto in diversi paesi. È editor presso la rivista di letteratura The Believer, alla quale contribuisce con interviste ad artisti e scrittori, e scrive sul New York TimesThe London Review of Books e altre testate. Ha collaborato con le artiste Leanne Shapton e Margaux Williamson, con quest’ultima segue The Production Front, un progetto di collaborazione e produzione artistica. Con Sellerio ha pubblicato La presona ideale, come dovrebbe essere? (2013), tra i migliori libri del 2012 per il New Yorker, e Maternità (2019), incluso tra le maggiori opere  dell’anno da testate quali il Times Literary Supplement e il New York Times.

In breve: “La battaglia navale” di Marco Malvaldi

Un lavoro d’indagine vero, sul campo, è molto più simile alla battaglia navale. All’inizio spari alla cieca, e non cogli niente, ma è fondamentale che tu ti ricordi dove hai sparato, perché anche il fatto che lì tu non abbia trovato nulla è una informazione. (…) A un certo punto, quando prendi qualcosa senza affondarlo, capisci che devi continuare a sparare nei quadratini adiacenti, ma con criterio. Se ne becchi due di fila, sai che il terzo colpo lo devi sparare sulla stessa linea. Davanti o dietro, non lo sai, ma sai che è solo questione di tempo. Ecco, il nostro lavoro è così.

 

Leggo in ritardo rispetto all’uscita (2016) questo giallo di Malvaldi targato Sellerio perché questo autore lo tengo sempre come riserva allegra per periodi bui.
Siamo sempre a Pineta. Questa volta, viene ritrovato il corpo di una donna e la comunità ucraina è concorde nel riconoscimento: si tratta di Olga, giovane e bella badante. Dato che ci è scappato il morto, arriva la combriccola dei “prostatici quattro”, i vecchietti del BarLume, che si devono impicciare sempre e comunque, stavolta con il supporto del compagno Mastrapasqua, nostalgico comunista, che ha alle spalle dieci anni in Ucraina e ricorda la lingua. Massimo il barrista è ormai fidanzato col vicequestore Alice Martelli e forse l’amore lo ha un po’ spento, anche se il personaggio funziona sempre. Solita solfa (che in fondo ci piace): delitto, indagini ufficiali, indagini non ufficiali dei vecchietti, indizi qua, indizi là, un piccolo errore, si accende la lampadina e Massimo svela il mistero.
A me di Malvaldi piace moltissimo il taglio scientifico/ironico che dà alle sue storie, i ragionamenti sono lineari, il linguaggio chiaro e divertente mi ha conquistata dal primo romanzo della serie del BarLume. Solo che, in fin dei conti, direi che: letto uno, letti tutti. Ci sono battute di spirito, qualche pasticcio qua e là, il Rimediotti che parla attraverso un marchingegno elettronico perché è stato operato alla laringe è simpaticissimo, si imparano cose nuove (non avevo idea prima di adesso di cosa fossero il fattoriale e il sampling bias), ma non spacca come al solito. E non saprei dire se è perché questo è meno brillante degli altri o perché ci stiamo un po’ abituando alla minestra.
Giudizio comunque positivo, anche se non stellare.

(La battaglia navale, Marco Malvaldi,
Sellerio, 2016, 179 pp., 13 €)

 

Dalla pagina Facebook: https://www.facebook.com/bibliotecadibabele/photos/a.2173646676182247.1073741840.1432387010308221/2214676242079290/?type=3&theater

“Il telefono senza fili” di Marco Malvaldi

Allora, dimmi un po’ se almeno a cinquant’anni mi ci fate arrivare.
Perché qui, ridendo e scherzando, se uno vi
gira intorno prima o poi gli fate il funerale.

 

13323800_10208577593548714_8580962942121935862_oQualche giorno fa mi è venuto il blocco del lettore, ho aperto diversi libri senza riuscire ad andare oltre la seconda pagina. Non so se vi è mai capitato, ma io lo reputo abbastanza drammatico: non riuscire a trovare il libro giusto da leggere è proprio fastidioso. Quindi ho pescato un Malvaldi dalla pila dei libri per le emergenze, piena, appunto, di Malvaldi e di Grossman (quest’ultimo lo avevo già provato, ma non era il momento). Ho scelto di leggere Il telefono senza fili e non l’ho letto nemmeno troppo velocemente, perché ho avuto la mente impegnata in altre cose, tra cui Una marina di libri, di cui magari vi parlerò tra qualche giorno, quando sarà finita e avrò fatto tutti i miei acquisti.

Allora, di Marco Malvaldi qui ho già parlato svariate volte, penso anche di avervi fatto una testa così su quanto mi piaccia leggere i suoi gialli e quanto siano divertenti, quindi non mi ci soffermerò troppo, anche perché questo libro in particolare non ha deluso le mie aspettative, anzi! Ma passiamo direttamente alla storia.
Siamo a Pineta, al BarLume con Massimo e i vecchietti. Un giorno Vanessa Benedetti scompare ma il marito, che insieme a lei gestisce un agriturismo che non va troppo bene, non ne denuncia la scomparsa perché a quanto pare sono stati visti litigare una sera, quindi potrebbe benissimo essere andata da qualche parte a schiarirsi le idee. Ma i vecchietti non sarebbero loro se con la mente non andassero oltre e infatti viene fuori un caso di omicidio: il Benedetti ha ucciso la moglie (che poi è l’ex moglie, perché quando gli stavano pignorando tutto ha intestato le proprietà a lei e hanno divorziato, perché restasse tutto “in famiglia”). Chiaramente senza denuncia la commissaria Alice Martelli non può intervenire, e comunque non ce n’è nemmeno bisogno perché la Benedetti dopo un po’ torna tranquillamente, ma nel frattempo il morto ci è scappato sul serio: Atlante il Luminoso, un cartomante che aveva “predetto” la verità sul caso di Vanessa in televisione, apparentemente si è suicidato e adesso bisogna indagare sul serio.

Questa è una storia di truffe, vendette e pasticci creati dagli arzilli ottuagenari con cui Massimo passa le sue giornate. Il commissario Fusco ormai è stato trasferito da tempo ed è stato sostituito dalla Martelli, una ragazza affascinante e molto più alla mano che crea una sorta di feeling con Ampelio e la sua banda. La ragazza addirittura spesso li consulta perché sa che, nonostante siano soliti arrivare a conclusioni affrettate, spesso forniscono ottimi spunti di riflessioni e poi a Pineta si conoscono un po’ tutti, magari può venir fuori qualcosa di interessante parlando con la moglie del Rimediotti o qualche parente di Pilade. Questa volta, almeno all’inizio, Massimo vuole tenersi fuori da tutto ciò, e vediamo Alice che confabula coi vecchietti, ma il barrista non ce la fa, deve impicciarsi anche lui e tra il lavoro al BarLume e quello al Bocacito (il ristorantino aperto in società con Aldo e in cui lavoricchiano anche Tiziana e Marchino) si rende utile con la sua mente brillante e con le sue abilità informatiche.

Te appena passi di ‘asa mi fai ir favore di sceglietti un vestito bòno dall’armadio perché se continui a anda’ ar barre e a fatti i ‘azzi di vell’artri prima o poi quarcuno ammazza te per davvero e allora io lo voglio sape’ cosa ti devo mette’ addosso nella bara, quello che scegli scegli, tanto che ti stia largo ‘un c’è perìolo.

Dopo di che, Pilade buttò giù, con un certo sollievo.

Tra un imbroglio e l’altro le battute di spirito in toscano non mancano mai. Il telefono senza fili è un romanzo in cui, come nell’omonimo giochino, spesso si capisce una cosa per un’altra e magari si combina un pasticcio. ma il divertimento sta proprio in questo!

Buona lettura!

Titolo: Il telefono senza fili
Autore: Marco Malvaldi
Genere:
 Romanzo, Giallo
Anno di pubblicazione:
 2014
Pagine: 208
Prezzo: 13 €
Editore: Sellerio

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienaspiena

In breve: “Come fu che cambiai marca di whisky” di Santo Piazzese

5874-3Oggi ho deciso di fare un piccolo intervallo dalle mie letture di Camus e Grossman e mi sono concessa un racconto di Santo Piazzese (in offerta pochi giorni fa a 0,99 €) estrapolato dalla raccolta Un Natale in giallo pubblicata da Sellerio nel 2011. Il racconto s’intitola Come fu che cambiai marca di whisky e vede come protagonista il nostro biologo Lorenzo La Marca che, prima di andare a passare la serata della vigilia di Natale con la sua fidanzata Michelle dalla sorella Maruzza, viene invitato a passare a casa del suo amico commissario Vittorio Spotorno. Mentre Michelle si mette a parlare amichevolmente con Amalia, la moglie del padrone di casa, i due uomini si appartano e Vittorio racconta una storia a Lorenzo, una vicenda del suo passato. Un giorno, durante un convegno di polizia criminale a Marsiglia, ha conosciuto un collega francese che lo aveva cercato per saperne di più su storie di mafia, ma col quale era nata anche una sorta di amicizia. Dopo qualche anno però i contatti si sono interrotti fino a quando non è apparsa una bottiglia di whisky.

È un racconto sul tema del Natale, non aspettatevi chissà quale storia lunga, ma passerete un’oretta o giù di lì con una bella lettura. A me è piaciuto molto. Quando l’ho comprato non sapevo fosse preso da una raccolta di qualche anno fa, Piazzese è uno dei tipici autori che prendo a scatola chiusa, mi fido e faccio sempre bene. La storia è ambientata a Palermo, con Lorenzo La Marca che attraversa le nostre strade conosciute e particolarmente trafficate. Se siete palermitani o conoscete la mia città capirete di cosa parlo, altrimenti leggere Piazzese è un bel modo di tuffarvi nel nostro meraviglioso caos. Sì, perché noi qui ci lamentiamo sempre di questa gran confusione, ma sappiamo che in fondo non ne potremmo fare a meno, se ci fosse ordine non sarebbe Palermo. E non mi voglio addentrare nella questione del tram che in questi giorni ci sta facendo impazzire (sì, forse ci stiamo un po’ civilizzando).
Lo stile colto e ironico di Piazzese, col suo grande uso di palermitanismi, vi conquisterà. Anche se non è uno dei suoi classici romanzi gialli e anche se qui non c’è il morto, è un ottimo assaggino della sua scrittura. A me piace tantissimo, non solo perché è mio conterraneo!

Buona lettura 🙂

Titolo: Come fu che cambiai marca di whisky
Autore: Santo Piazzese
Genere:
 Racconto
Anno di pubblicazione:
 2011
Pagine: 54
Prezzo: 1,99 €
Editore: Sellerio

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienasvuota