Tra oggi e domani | Carmen Korn

Meglio dimenticare, lasciarsi tutto alle spalle.
Era cominciata la grande rimozione.

~

Abbiamo conosciuto Carmen Korn con una bella saga uscita qualche tempo fa, la Trilogia del Secolo, che raccontava le vicende di quattro ragazze ventenni alle prese con la ricostruzione successiva al primo dopoguerra. Ma qualcuno ricorderà anche che un paio d’anni fa Fazi ha pubblicato il primo capitolo di una saga in due volumi, Quando il mondo era giovane, che ha trovato la sua conclusione con l’uscita, un mesetto fa, di Tra oggi e domani. Confesso che ho fatto un po’ fatica a ricordare bene gli eventi del primo capitolo, perché sono passati due anni dalla pubblicazione (immagino che sia stato così anche per gli originali in tedesco) e in mezzo ho letto un mucchio di roba, ma se voi non lo avete ancora conosciuto è il momento giusto per affrontarli tutti e due. Facciamo un piccolo riassunto. Si tratta di una storia ambientata in tre città: a Colonia ci sono Heinrich e Gerda che gestiscono una galleria d’arte, hanno due figli, Ulrich e Ursula, e insieme a loro vive anche la cugina Billa; ad Amburgo, Kurt ed Elisabeth (cara amica di Gerda) hanno una figlia, Nina, che è sposata con un inglese, Vinton, e insieme a loro vive Ursula che nel frattempo si è sposata con Joachim, l’ex di Nina; a Sanremo c’è Margarethe, che si è trasferita lì perché ha sposato l’italiano Bruno Canna, da cui ha avuto Gianni, che ha un locale dove si fa della musica e in parte gestisce (con la moglie Corinne) l’azienda di produzione di fiori di famiglia, minacciata dai cattivi investimenti dello zio Bixio.

Se nel primo volume abbiamo visto i nostri personaggi barcamenarsi fra le difficoltà della ripresa dopo la Seconda Guerra Mondiale, qui li troviamo già negli anni Sessanta, in una fase di passaggio fra il passato e il futuro, tra oggi e domani, appunto. La galleria d’arte di Heinrich e Gerda vive un momento molto florido grazie soprattutto a un giovane pittore molto promettente i cui quadri vengono venduti subito dopo essere stati esposti in vetrina, un uomo che come tanti rimane ammaliato dal fascino di Ursula. Ursula che intanto aspetta un bambino da Joachim e verrà seguita dal ginecologo Theo Unger (un personaggio molto bello che avevamo già incontrato nella Trilogia del Secolo); i due abitano nella mansarda di Kurt ed Elisabeth ma ormai sentono il bisogno di prendere la propria strada, anche perché Elisabeth sembra non riuscire a staccarsi dal passato e ha paura di andare avanti, cosa che le causa delle nevrosi e le provoca dei blocchi importanti. In Italia, invece, ci sono dei problemi con dei debiti contratti da Bixio e uno scandalo scuoterà la famiglia Canna, che farà di tutto per riprendersi e perfino aiutare gli amici, fra cui Jules e il pianista Pips – due personaggi che hanno una parte importante all’interno della vicenda.

Anche qui, Korn fa dei continui salti da un ambiente all’altro, da una città all’altra, per darci l’idea della contemporaneità degli eventi e farci considerare la storia come un qualcosa di unitario. I personaggi sono molti, e così anche i punti di vista adottati dalla narratrice. Arriviamo a conoscerli ancora meglio nelle loro riflessioni, nelle loro paure e nei pensieri, e soprattutto assistiamo a un grosso scontro generazionale: quello fra chi ha vissuto la guerra in prima persona e fra chi è adulto oggi e non ha paura di scardinare i meccanismi di un passato che non esiste più. C’è Elisabeth che teme il progresso, l’ingresso della televisione che porta nelle case le notizie del mondo, e ha paura di uscire dal proprio appartamento, anzi vorrebbe che tutto ciò che ha di più caro rimanesse continuamente lì accanto a lei (perché sa cosa significa perderlo); e ci sono anche i giovani che si spostano da una città all’altra per cercare la felicità, che aspettano a diventare genitori perché danno priorità al lavoro, o che rivoluzionano le relazioni sentimentali pensando più a cosa li rende felici e meno a cosa è giusto o sbagliato – e questo negli anni Sessanta rappresenta l’avvento della vera modernità.

Tutto ciò accade in una cornice storica veritiera in cui si svolgono gli eventi di quegli anni (che tutti conosciamo) e che i Canna, i Borgfeldt, gli Aldenhoven e tutti gli altri si troveranno ad affrontare. Gli anni Sessanta sono un periodo di enormi cambiamenti, e Korn è molto abile a narrare come li hanno vissuti delle persone che tutto sommato sono normali, persone che hanno perso molto e poi sono riuscite a ritrovare o ricostruire ciò che avevano (anche se non tutti). Ma alla base di tutto c’è sempre qualcosa che è impossibile perdere, qualcosa che rimane sempre nonostante tutto, ed è proprio ciò da cui si riparte: l’unione familiare, i legami, quello a cui ci si aggrappa nelle situazioni più sfavorevoli. E ai personaggi della storia di Carmen Korn questo non manca affatto.

Buona lettura!

Titolo: Tra oggi e domani
Autore: Carmen Korn
Traduttore: Manuela Francescon
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 12 settembre 2021
Pagine: 540
Prezzo: 20 €
Editore: Fazi


Carmen Korn – Nata a Düsseldorf nel 1952, è una scrittrice e giornalista che vive ad Amburgo con la sua famiglia. Oltre a Quando il mondo era giovane, Fazi Editore ha pubblicato Figlie di una nuova era (2018), È tempo di ricominciare (2019) e Aria di novità (2020), che compongono una trilogia dall’enorme successo.

L’ombra del vulcano | Marco Rossari

Sapevo di persone che si trovavano per bere un bicchiere,
che organizzavano viaggi, che impostavano il futuro.
Io non riuscivo nemmeno a programmare dove andare a fare colazione,
non riuscivo a sottrarmi al flusso di parole che dovevo tradurre.

~

Alla fine di agosto è uscito in libreria per Einaudi L’ombra del vulcano, il nuovo libro di Marco Rossari, che ancora non conoscevo come scrittore ma solo come traduttore (apprezzatissimo). Ero molto curiosa di leggerlo soprattutto perché raccontava un po’ i retroscena della traduzione, affrontata qualche anno fa, di un romanzo molto “importante” che il titolo richiama, Sotto il vulcano di Malcolm Lowry (edito da Feltrinelli). Io Lowry non l’ho ancora letto, ma l’ho acquistato proprio nei giorni passati anche per poter capire molte cose cui Rossari accenna nelle sue pagine. Ci sono, infatti, tanti punti in comune fra il narratore/traduttore e il protagonista del romanzo tradotto, luoghi mentali, angosce e alcolici che stravolgono a entrambi la vita: al primo per giorni e mesi, al secondo per un’ultima giornata.

A chi narra viene proposto di ritradurre Lowry proprio in uno dei periodi più complicati della sua vita: un grandissimo amore è appena finito e c’è un uomo smarrito e svuotato di qualsiasi interesse, che in una Milano particolarmente afosa e deserta, non riesce a reagire in altro modo se non esagerando con l’alcol – anestetico – e trascinandosi da un bar all’altro.
Come si fa a rialzarsi quando si perde la cosa più importante della propria vita? Come si va avanti senza il punto di riferimento avuto per anni, senza quel qualcuno che è diventato parte di te? Domande retoriche, ma non troppo perché è chiaro che poi ognuno affronti tutto ciò a modo suo, ma in questo caso la professione del traduttore non è particolarmente d’aiuto. Parlo per esperienza personale? Sì, perché:

Tradurre, in realtà, significa passare un mucchio di tempo da soli. Schivo e dimenticato, nascosto dietro le parole altrui, strapazzato o peggio ignorato dai recensori, ogni traduttore soffre un destino analogo a quello delle spie, e cioè di venire notato solo quando sbaglia. Se è vero che tradurre significa cercare, anzi, inseguire senza mai raggiungere le parole degli altri per migliaia di pagine, è vero anche che questo inseguimento riguarda prima di tutto sé stessi.

Soprattutto quando quel romanzo ti ricorda te stesso ed è stato così importante molti anni prima.

Ma ne L’ombra del vulcano non c’è solo la genesi di un lavoro di traduzione, c’è vita, c’è dolore, c’è amore per la letteratura e per l’editoria, con tutti i suoi pregi e difetti. E c’è un amico che diventa spalla e sostegno in quei mesi tremendi in cui il traduttore si abbandona al lavoro in quella stessa allucinazione creata da Lowry che si strugge per la moglie infedele nel suo ultimo giorno di vita, una sbronza dopo l’altra, senza soluzione di continuità (Rossari stila anche un elenco di tutto quello che l’ex console britannico riesce a tracanna in una sola giornata).

Non ero pronto. Ero stanco, esaurito. Sono uscito a bere un aperitivo con un amico che mi diceva: – Già, l’amore è come una petroliera: ci mette chilometri a cambiare rotta-. Finisce sempre così, con una brutta similitudine.

È il ricordo dell’inizio di un amore, dei viaggi fatti insieme, dei momenti apparentemente insignificanti trascorsi insieme, il ricordo degli amori precedenti, mai forti quanto l’ultimo, è la fine di una storia che non finisce all’improvviso, di punto in bianco, ma si va sgretolando piano piano fino a esaurirsi del tutto. E un uomo che lo racconta senza aver paura di dosare le parole (perché le sa usare, ci lavora) o di poter apparire patetico. La sofferenza è cupa e come tale deve essere rappresentata; sembra sempre un tunnel senza uscita, e spesso si dice che buttarsi a capofitto nel lavoro possa aiutare a sopportarla meglio. Ciò che, in effetti, la fa sopportare meglio anche a chi legge sono i dialoghi con Piccolo Console, amico del narratore, che alleggeriscono la pesantezza di una spirale di malessere e strappano un sorriso. Perché sì, ci sono sempre dei momenti di respiro, anche quando sembra impossibile.

Titolo: L’ombra del vulcano
Autore: Marco Rossari
Genere: Autobiografia
Data di pubblicazione: 29 agosto 2023
Pagine: 176
Prezzo: 18 €
Editore: Einaudi


Marco Rossari – scrittore e traduttore, è nato a Milano nel 1973. Tra i suoi libri: L’unico scrittore buono è quello morto (Edizioni e/o 2012), Piccolo dizionario delle malattie letterarie (Italo Svevo 2016), Le cento vite di Nemesio (Edizioni e/o 2016) e Le bambinacce (Feltrinelli 2019), scritto a quattro mani con Veronica Raimo. Tra i tanti autori tradotti: Charles Dickens, Mark Twain, Percival Everett, Dave Eggers, Alan Bennett, Hunter S. Thompson, John Niven; è il traduttore, inoltre, della nuova edizione di Sotto il vulcano di Malcolm Lowry (Feltrinelli 2018). Per Einaudi ha curato l’antologia Racconti da ridere (2017) e ha pubblicato Nel cuore della notte (2018) e L’ombra del vulcano (2023).

Il genio della Bastiglia (Le dame del Faubourg vol. 3) | Jean Diwo

Le famiglie unite sono come grandi querce:
saldamente abbarbicate alla vita come se nulla potesse
impedire ai loro rami più vecchi di far crescere all’infinito
le proprie foglie verso la luce, sembrano immortali finché
una tempesta non spacca le fronde più fragili come fossero vetro.

~

Il 14 luglio – un giorno significativo perché è l’anniversario della presa della Bastiglia – è uscito l’ultimo capitolo di una trilogia molto bella pubblicata da 21lettere, Le dame del Faubourg, una saga di Jean Diwo che in tre volumi racconta la storia della Francia dal tardo ‘400 fino al ‘900 dal punto di vista degli ebanisti e maestri del legno del Faubourg Saint-Antoine, il centro dell’industria del mobile a Parigi. Dopo Le dame del Faubourg e Il letto di acajou, arriva dunque Il genio della Bastiglia, che parte dagli ultimi anni del Settecento per concludersi nel 1925 con l’Esposizione internazionale di Arti Decorative. L’autore alla fine del libro spiega che per ricostruire la storia di un quartiere, dei suoi abitanti e dell’evoluzione dei mobili in Francia, ha fatto affidamento anche su molti documenti che gli sono stati messi a disposizione da amici discendenti da famosi ebanisti e artisti, alcuni dei quali sono infatti inseriti nella storia.
Una piccola premessa per chi ancora non avesse letto i primi due volumi (che comunque potete recuperare facilmente, perché vi ho inserito i link sopra): le dame del Fabourg nel primo capitolo sono le badesse dell’abbazia che hanno una grande influenza all’interno della comunità del legno e di un quartiere che grazie a esse, appunto, ha goduto negli anni di molti privilegi; nel secondo invece le abbazie perdono molta della loro importanza o addirittura non esistono più, quindi le vere dame, le vere donne “di potere” diventano quelle più forti, quelle che sanno dare lustro e conforto agli altri, o che addirittura creano dei veri salotti con membri illustri dell’ambiente intellettuale dell’epoca (per esempio Antoinette, il cui carisma verrà ricordato più e più volte).

Ma a un certo punto sembra proprio che questa grandezza femminile sia finita per sempre con Antoinette. Però è lì che Bertrand II, il figlio di Ethis che è tornato dal tour della Francia, viene a sapere che in Inghilterra sta cominciando a diffondersi l’uso delle macchine a vapore che, certo, non sono precise come un vero artigiano e non possono fare il suo lavoro, ma possono facilitarlo molto soprattutto nelle fasi iniziali, non quelle di dettaglio. Allora parte, diretto oltremanica, e durante il viaggio incontra una ragazza, cameriera di una lady inglese, da cui rimane folgorato. Si tratta della bella Louise, che più avanti diventerà sua moglie e nuova dama del Faubourg. Louise è la figura centrale di questo ultimo volume della trilogia, è una donna intelligente, attenta ai cambiamenti e capace di grande diplomazia. Sarà lei a salvare la ditta Valfroy-Caumont in un momento difficile, accollandosene la direzione quando Ethis è ormai vecchio e non ne ha più le forze. Dotata di grande scaltrezza, sarà lei ad avvicinare innamorati e a cavalcare l’onda del cambiamento nelle tendenze artistiche e anche nel clima politico del tempo in cui vive.

«Come al solito, non ti ci è voluto molto a convincermi. Se funzionerà, come dici, chissà quanto stupore e quante discussioni al Faubourg riguardo al tuo coinvolgimento nell’attività… “Vi rendete conto, mia cara, una donna! E non è nemmeno nata al Faubourg!”»

Assistiamo a moltissimi cambiamenti di due secoli di storia francese, incontriamo Napoleone Bonaparte e più avanti Napoleone III, vediamo i nostri personaggi barcamenarsi nelle rivolte che scoppiano in tutta la città e li toccano anche da vicino, ci prepariamo con loro alle esposizioni universali e vediamo “nascere” la torre Eiffel. E soprattutto incontriamo molti degli intellettuali e dei letterati dell’epoca che diventano parte importante della storia, come Delphine de Girardin, Victor Hugo, Alexandre Dumas, Èmile Zola (che scriverà il famoso J’accuse sull’affare Dreyfus). Vediamo i gusti che cambiano: se l’arte antica piace ancora e viene riprodotta ed emulata ci sono anche nuove tendenze più coraggiose, si punta a motivi più sinuosi e floreali, si passa all’Art Nouveau e poi all’Art Déco. Ma il vero protagonista della trilogia di Diwo è sempre il legno, e poi viene tutto ciò che ruota intorno a esso.

L’autore ammette di aver lavorato per ben sei anni alla stesura di questi libri che contano più di duemila pagine in totale per ricostruire la storia e la vita di un quartiere così importante e della gente che lo abita. Ci spiega anche che le cose ormai sono molto cambiate. La produzione dei mobili si è industrializzata parecchio – com’è ovvio che sia – ma le famiglie di quei grandi ebanisti di cui ci ha narrato le gesta ci sono ancora e qualche piccola bottega si riesce a trovare perfino oggi. Diwo si augura però che chi si occupa di cultura non sacrifichi l’arte del legno alla muratura e pensi anche a non far scomparire per sempre secoli di storia.

Dispiace sempre quando una saga finisce, significa lasciar andare personaggi che ti hanno fatto compagnia per un po’ di tempo e a cui ti sei affezionato. A me questa era stata presentata come qualcosa che in qualche modo ricordava Dumas e Hugo e devo dire che ha soddisfatto pienamente le mie aspettative, l’ho amata davvero molto e la consiglierei a chiunque cerchi una storia coinvolgente e piena di eventi, che non scorra lenta, insomma. Vi piacerà.
Per quelli che invece hanno già letto i primi due capitoli, una chicca: vi ricordate del bastone da compagnon di Jean Cottion? Alla fine una piccola rivelazione. La scoprirete leggendo!

Titolo: Il genio della Bastiglia
Autore: Jean Diwo
Traduttore: Luisa Rigamonti
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 14 luglio 2023
Pagine: 755
Prezzo: 23 €
Editore: 21lettere


Jean Diwo – Nato a Parigi nel 1914, Jean Diwo debutta nel giornalismo lavorando a Paris-Soir per pagarsi gli studi di Lettere moderne alla Sorbona. Dopo la morte della moglie, nel 1981, da poco in pensione, Diwo si dedica alla scrittura di romanzi storici, ottenendo un rapido successo di pubblico e critica. In un’intervista nel 2006 commenta “I libri mi hanno salvato, mi hanno offerto una seconda vita”. L’autore si spegne nel 2011, all’età di 96 anni.

Un mondo perduto | Wendell Berry

A volte, nel buio della mia stessa ombra,
io so che non potrei vedere assolutamente nulla,
se non fosse per questa vecchia ferita  di amore e dolore,
questa piccola lampada flebile
che vedo al mio fianco da tutti questi anni.

~

C’è un autore – e anche una serie di romanzi – a cui negli ultimi anni mi sono dedicata poco, nonostante me ne fossi innamorata molto. Si tratta di Wendell Berry e delle sue storie ambientate a Port William, un villaggio rurale del Kentucky, e dedicate di volta in volta a un membro diverso di quella comunità. Hannah Coulter mi era piaciuto veramente molto e mi era servito per scoprire la scrittura di Berry, scrittore statunitense classe 1934, e il suo forte interesse per l’agricoltura, l’ecologia e l’attivismo. In Italia possiamo leggere questi romanzi grazie a Lindau, e probabilmente riusciremo ad avere tutta la sua opera tradotta mentre è ancora in vita.
Un mondo perduto, uno degli ultimi, è uscito lo scorso maggio, ed è una storia particolare perché è narrata in prima persona da un Andy Catlett ormai sessantenne che vuole elaborare e ricostruire un evento traumatico della propria infanzia, la morte dell’amato zio Andrew.

Siamo nell’estate del 1944 e il piccolo Andy, che ha dieci anni, è nella fattoria dei nonni paterni. Vorrebbe seguire lo zio al lavoro, ma gli viene detto che il cantiere dove Andrew deve recarsi è pericoloso, quindi lui va a farsi un giretto nei dintorni. Quello stesso giorno lo zio viene ucciso da un colpo di pistola in circostanze che non gli verranno mai spiegate bene, un po’ perché a quel tempo è ancora piccolo per capire tante cose, un po’ perché c’è davvero molta confusione intorno alla questione. Il bambino si trova ad affrontare qualcosa che ancora non conosce, il lutto, e deve capire cosa significhi e come gestirlo.

Il mondo che conoscevo si era trasformato in un mondo che conoscevo solo in parte; forse capivo che non sarei mai più riuscito a pensare a esso come a un mondo conosciuto. La mia consapevolezza della perdita doveva essere al di là di ogni possibile riepilogo. Doveva essere esattamente commisurata a ciò che avevo perso, e ciò che avevo perso era lo zio Andrew, così come l’avevo conosciuto, la mia vita con lo zio Andrew. Avevo perso quello che ricordavo.

Adesso, a distanza di cinquant’anni dall’accaduto, e dopo la morte di diversi familiari a cui rievocare quei fatti può arrecare un grande dolore, Andy si mette a cercare prove, leggere documenti e parlare con chi quando lui era piccolo c’era e sa cos’è successo. È qui che allora scoprirà come erano andate veramente le cose, quanto possono essere difficili le cose fra gli adulti e quanto può essere complicato l’animo umano. Comincia un viaggio a ritroso nel passato, un viaggio nei ricordi che gli riporterà alla memoria la spensieratezza di quegli anni da bambino, le estati passate nella fattoria di famiglia con i parenti, i giochi con gli altri ragazzini, e l’immagine chiara e limpida – come non fosse passato tutto quel tempo – di quello zio così divertente e in gamba da essere diventato una figura quasi mitica.

Zio Andrew era talmente diverso da qualsiasi altra persona conoscessimo da sembrare di una specie a parte. Era capace di adattare la sua parlata e i suoi modi alla compagnia presente, se voleva, ma spesso non voleva. Parlava con noi ragazzini come parlava con chiunque altro, e così facendo ci affascinava. A noi sembrava che lui fosse sempre al centro del suo stesso frastuono, in quel suo modo irrequieto, spericolato, spiritoso e rumoroso.

Sì, perché le ricerche di Andy non hanno come unico risultato (oltre che scopo) quello di ricostruire la personalità dell’uomo che ha ucciso suo zio e il motivo dell’omicidio. Lui finisce anche per scoprire tantissimo sullo zio stesso, un uomo di cui, da piccolo, non poteva cogliere tutte le sfumature caratteriali, perché si sa, da piccoli non si conosce abbastanza il mondo da capire tutto ciò che c’è di “nascosto”, e si ha un animo troppo ingenuo.
E tutto questo lo racconta con la malinconia di chi rimpiange di essersi perso qualcosa, di non averlo capito in tempo; con la tristezza di chi si è visto interrompere l’infanzia di punto in bianco e ne ha sofferto per tutta la vita, di chi ha subito un trauma e non lo ha mai superato. Ma quello che emerge dalla sua narrazione è una determinazione fortissima, lui vuole a tutti i costi arrivare in fondo alla questione, indipendentemente da quale sia la verità che per forza, a un certo punto, gli si paleserà.

Berry è un autore che mi piace moltissimo perché la sua scrittura è semplice e non arzigogolata, ci fa entrare senza difficoltà nel cuore delle storie in modo chiaro, naturale. Mi viene da pensare che il suo stile sia comparabile ai luoghi e ai personaggi di cui narra, campagne e gente semplice che racconta a noi, pubblico, i fatti della sua vita.
Alla fine del libro tra l’altro sono state inserite la mappa di Port William e gli alberi genealogici delle famiglie più importanti e protagoniste dei libri di Berry (che spesso si incrociano perché alcuni sono imparentati fra loro), quindi man mano che si leggono i romanzi ci si può fare un’idea ben chiara pure di questo piccolo villaggio.

Io mi riprometto ancora una volta di recuperare i libri che devo ancora leggere, ma in generale posso dire che Wendell Berry è un autore adatto a tutti i gusti, quindi se ancora non lo conoscete andate a scoprirlo.
Buona lettura!

Titolo: Un mondo perduto
Autore: Wendell Berry
Traduttore: Mariadonata Villa
Genere: Romanzo
Data di pubblicazione: 26 maggio 2023
Pagine: 168
Prezzo: 16 €
Editore: Lindau


Wendell Berry – romanziere, poeta e critico culturale, ma anche agricoltore, attivista ecologista, pacifista. Autore di saggi, romanzi, raccolte di poesie, ha ricevuto una lunga serie di riconoscimenti e fellowship e ha insegnato in diverse università nordamericane. Critico di quella che chiama l’«economia faustiana» del nostro tempo, Wendell Berry intreccia la riflessione poetica e spirituale sui valori della vita rurale con i temi del rispetto ambientale e dell’agricoltura sostenibile, pronunciando una condanna impietosa dell’American Way of Life. Oggi vive con la moglie in una fattoria del natio Kentucky.
Di lui Lindau ha pubblicato i romanzi ambientati a Port William: Jayber Crow, Hannah Coulter, La memoria di Old Jack, Un posto al mondo, I primi viaggi di Andy Catlett; la raccolta di poesie Perché l’amore tocchi terra e le raccolte di saggi Mangiare è un atto agricolo e La strada dell’ignoranza.