Le sottili stratificazioni della realtà che,
come delicate lastre di ghiaccio finissimo, celluloide striata,
riposano sotto l’apparenza sporca e trascurata delle cose
in attesa di un’intelligenza che le interpreti.
Arriviamo all’ultima settimana di questo #maggiodeilibri, il cui tema stavolta è “Lingua e identità”. Devo dire che nel mio percorso di studi mi sono dedicata molto alla lingua e al linguaggio, e mi sono appassionata a diverse discipline. A parte le lingue straniere ho studiato materie come linguistica e filologia, materie che non mi hanno solo permesso di sapere molte più cose sui linguaggi, ma che mi hanno proprio cambiato il modo di vedere le parole, gli enunciati e il nostro modo di esprimerci in generale. È come se di punto in bianco vi dessero degli occhiali speciali che vi facciano vedere la realtà con uno zoom molto più potente.
Il libro che ho pensato di leggere e di raccontarvi in questa settimana a qualcosa a che vedere proprio con la filologia, a partire dal titolo, che rappresenta un fenomeno linguistico importante, per arrivare al protagonista, che è un famoso filologo. Parliamo de La caduta delle consonanti intervocaliche (O professor, titolo originale) di Cristovão Tezza, pubblicato da Fazi nel 2016.
Tutto è cominciato quando il “dolor” ha preso a trasformarsi subdolamente in “door” e infine in “dor”: ecco fatto! Un’altra lingua.
La caduta delle consonanti intervocaliche è un fenomeno che accadde tra il X e l’X nel territorio dove sarebbe poi nato il Portogallo e rappresenta il punto in cui la lingua spagnola e quella portoghese si separano definitivamente. È una cosa che interessa moltissimo a Heliseu da Motta e Silva, grande professore di filologia brasiliano, che proprio da lì ha cominciato il suo lavoro. Casualmente è anche il motivo per cui ha conosciuto sua moglie.
La vicenda parte da quando, ormai, in pensione, Heliseu si appresta a ricevere un omaggio dall’Università e a preparare un discorso di ringraziamento, così inizia a fare un percorso a ritroso nella sua mente e a ripercorrere tutta la sua vita: gli anni Sessanta, l’incontro e il matrimonio con Mônica, il figlio Eduardo, un buon lavoro, un ottimo stipendio, la casa, la relazione con la dottoranda francese Therèse, le pubblicazioni, il ritiro a una vita più tranquilla. Sembra che abbia avuto tutto, una vita a cui non è mancato nulla.
Però tra un ricordo e l’altro si fanno strada dubbi, incertezze, piccoli dettagli che fanno capire a Heliseu e a noi che leggiamo i suoi pensieri che forse non è andato tutto liscio come l’olio. Il rapporto con i colleghi non è stato dei migliori, si accorge di aver spesso sentito su di sé il disprezzo, le dicerie sulla sua relazione con la dottoranda; la moglie è sempre stata distante, forse perché anche lui lo era nei suoi confronti, e poi è morta in modo tragico; il figlio se n’è andato lontano, negli Stati Uniti, si è sposato con Andrew e ha adottato una bambina afroamericana. L’unica figura che sembra essergli rimasta vicina è dona Diva, la donna che sbriga le faccende domestiche in casa sua.
Heliseu racconta la propria storia con battute ironiche e sorrisi, con un linguaggio apparentemente allegro e divertente, ma dietro cui si cela un’amarezza profonda, una specie di delusione per tutto ciò che ha e non ha avuto. La vita non consiste nel raggiungere traguardi (avere un lavoro, sposarsi, avere figli, riconoscimenti), bensì nel passare nel miglior modo possibile il tempo che abbiamo a disposizione, e il protagonista si accorge man mano che va avanti col suo racconto che molto gli è mancato e gli manca ancora, alla fine del suo percorso.
Quella di Heliseu da Motta e Silva diventa, quindi, una sorta di confessione, un modo di riconoscere i propri errori, di volersi quasi redimere – a un certo punto pensa di trasferirsi in California e avvicinarsi a quel figlio che ormai gli è estraneo e ha una sua vita. Ma se è vero che è una confessione, la sua vanità è troppo grande, quindi i suoi sbagli li giustifica, tenta sempre di fornire motivazioni valide per ciò che ha fatto. Si accorge di essere rimasto solo, è abbastanza intelligente da capirlo, ma la sua autostima e il suo amor proprio sono così forti da farlo apparire spocchioso e non fargli realizzare che in fondo la sua vita è tutta una sconfitta. «Sto bene», si fa forza alla fine.
Lo stile è particolare, in questo romanzo, considerando che il protagonista è un professore di filologia e studioso di letteratura. La narrazione è spesso inframmezzata da riflessioni linguistiche e citazioni letterarie inserite al punto giusto, e tutto questo, sommato all’intelligenza, alla cultura, all’arguzia e anche al narcisismo della voce narrante, fa sì che ne venga fuori un romanzo colto e ben fatto. Purtroppo devo dire che non mi ha conquistato, nel senso che non me ne sono innamorata, ma è un libro che sono contenta di aver letto e che ho comunque apprezzato.
La caduta delle consonanti intervocaliche è la storia di un uomo che racconta la propria vita illudendosi di aver avuto tutto, ma che sa che così non è. È un romanzo che forse in qualche punto può apparire ostico nella lettura, specialmente per chi non è un appassionato di certe discipline legate allo studio della lingua, ma è comunque godibile.
Buona lettura!
Titolo: La caduta delle consonanti intervocaliche
Autore: Cristovão Tezza
Traduttore: D. Petruccioli
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 2016
Pagine: 237
Prezzo: 17,50 €
Editore: Fazi
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