In breve | Discorso di un albero sulla fragilità degli uomini | Olivier Bleys

Ogni volta che si festeggiava una nascita,
un nuovo ributto spuntava dal tronco,
mentre quando moriva un membro della famiglia,
un ramo seccava e cadeva.
Fu soprattutto questo a spingerlo a salvare l’albero.

 

Per mancanza di tempo (sarò  molto impegnata nei prossimi giorni e la settimana prossima ci sarà Una Marina di libri) non riesco a scrivere un post esteso come faccio di solito, ma voglio parlarvi brevemente adesso di questo libro perché probabilmente quando avrò il tempo per farlo sarò già passata avanti e me ne sarò in parte dimenticata. Si tratta di un libro che non mi ha suscitato particolari emozioni, ma è giusto dedicargli due parole, perché non passi totalmente inosservato. Parliamo di Discorso di un albero sulla fragilità degli uomini di Olivier Bleys.
Siamo nella periferia di Shenyang, in Cina, un posto ormai pieno di ruderi e catapecchie. Lì abita la famiglia Zhang: Wei, il capofamiglia, con la moglie Yun, la figlia adolescente e i suoceri. Oltre ai genitori di lui, ormai morti ma sepolti sotto il sommacco nel loro giardino. La loro casa, malridotta, è di proprietà dell’avaro signor Fen e Wei passa l’intera vita a raccogliere i soldi per poterla finalmente acquistare. Nel frattempo iniziano ad apparire in città manifesti in cui si annuncia un rinnovamento della città, a partire da alcuni scavi che verranno fatti proprio dove abitano Wei e i suoi, per estrarre il terbio, un raro minerale. La famiglia Zhang cercherà di resistere in tutti i modi a questa ondata di modernità, difendendo soprattutto quell’albero così caro a Wei. 

Devo confessare che questa storia non mi ha colpito troppo, l’ho letta velocemente ma senza particolare trasporto. Lo stile dell’autore francese richiama quello orientale dell’ambientazione, una certa spiritualità – legata all’albero – di fondo conferisce al racconto una sorta di atmosfera fiabesca (gente che muore centenaria e millenaria, l’albero che sembra festeggiare le nascite o esaudire i desideri di Wei) che purtroppo non mi ha conquistato. Eppure ero partita con le migliori intenzioni, forse affascinata da una copertina così bella e da un titolo così suggestivo. Probabilmente si tratta anche in questo caso di sensibilità diversa di noi lettori nei confronti di stili e tematiche affrontate dagli autori.

Buona lettura e a presto!

Titolo: Discorso di un albero sulla fragilità degli uomini
Autore: Olivier Bleys
Traduttore: Tania Spagnoli
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 2017
Pagine: 268
Prezzo: 17 €
Editore: Clichy

Dal tuo terrazzo si vede casa mia | Elvis Malaj

Trovarsi bene o meno in un posto non dipende dal posto, dipende da te.
Ovunque vai ti porti sempre dietro qualcosa
che alla fine rende ogni posto uguale a un altro.
Potrei anche rispondere alla sua domanda, ma non significherebbe niente.
Tradirei semplicemente la mia capacità di trovarmi bene o male in Italia.

 

In questi giorni ho approfittato di un po’ di tempo libero tra una cosa e l’altra per leggere un libro che è nella dozzina del Premio Strega 2018, una presenza che mi fa molto piacere dato che si tratta di una piccola casa editrice che pubblica solo racconti e che mi ha conquistata fin dalla sua nascita. Vi ricordate di quando dicevo di non leggere short stories? Ecco, tempi andati, mi sono messa d’impegno, ho imparato da qualche anno a leggerli e ad apprezzarli e ora ve li sponsorizzo pure, pensate che metamorfosi! Comunque, ho letto Dal tuo terrazzo si vede casa mia, una raccolta di racconti di Elvis Malaj, albanese di nascita ma che scrive in italiano, pubblicata da Racconti edizioni nel 2017.

Non è un libro particolarmente lungo, sono 164 pagine di racconti brevi (l’ultimo è un po’ più lungo) in cui le origini dell’autore sono il punto di partenza per parlare del confronto tra gli albanesi e il paese che li accoglie. A volte c’è una perfetta integrazione, ci sono belle amicizie o legami sentimentali; ci può essere un attrito iniziale ma quando ci si dà un po’ di tempo per conoscersi si supera il problema; l’impatto a volte è forte e distruttivo; o, infine, questo confronto è problematico, non porta a nulla e si approfitta di un incidente stradale accaduto qualche metro più in là per fuggire via. In tutti in racconti, di fondo, c’è il luogo comune che vuole l’uomo (quasi mai la donna) albanese violento, ladro, perdigiorno e, in generale, delinquente; luogo comune su cui i personaggi stessi spesso fanno dell’ironia o su cui, di contro, i non albanesi si ricredono.

Dal tuo terrazzo si vede casa mia, che dà il titolo alla raccolta, è una frase che un ragazzo albanese dice nell’ultimo racconto alla ragazza italiana proprietaria della casa in cui lui si intrufola per innaffiare le piante che stanno morendo sul balcone – chiaramente sul momento viene scambiato per un ladro, poi i due si conoscono e si crea un bel rapporto. La frase, comunque, è evocativa, ricorda un po’ il mare che sta fra l’Italia e l’Albania, che rappresenta il tratto di separazione dal punto in cui l’una guarda l’altra. Un mare che bisogna attraversare per capirsi, per conoscersi e accettarsi.

Elvis Malaj, classe ’90, con uno stile fresco ma incisivo dovuto alla sua giovane età, mette in scena situazioni (spesso al limite) in cui gli approcci non sono mai facili, in cui non sempre ci si intende al primo colpo. Ma in fondo il suo potrebbe essere un invito alla riflessione, un modo per far sì che possiamo vederci da fuori, fare attenzione a come ci dipinge chi viene da un’altra parte.
Il richiamo delle sue origini è continuo, e più importante ancora mi sembra il fatto che molti personaggi dicano frasi in albanese che non vengono tradotte per il pubblico italiano, specialmente nei momenti di rabbia o quando hanno bisogno d’aiuto e c’è una chiara richiesta di ospitalità ai connazionali – una sorta di linguaggio codificato. È come calarsi nella realtà, non capiremmo comunque che cosa sta dicendo quella persona, ma il punto non è riuscire a tradurre sul momento, bensì avere la curiosità di volerlo fare.

Buona lettura!

Titolo: Dal tuo terrazzo si vede casa mia
Autore: Elvis Malaj
Genere:
 Racconti
Anno di pubblicazione:
 2017
Pagine: 164
Prezzo:  14 €
Editore: Racconti edizioni


Elvis Malaj (Malësi e Madhe, Albania) classe 1990, è il primo autore italiano pubblicato da Racconti. Albanese per nascita, a quindici anni si è trasferito ad Alessandria con la famiglia. Oggi vive e lavora a Padova. È stato finalista al concorso 8×8, e ha pubblicato racconti su effe e nella rassegna stampa di Oblique. Dal tuo terrazzo si vede casa mia è il suo esordio.

La caduta delle consonanti intervocaliche | Cristovão Tezza | #BlogNotesMaggio

Le sottili stratificazioni della realtà che,
come delicate lastre di ghiaccio finissimo, celluloide striata,
riposano sotto l’apparenza sporca e trascurata delle cose
in attesa di un’intelligenza che le interpreti.

 

Arriviamo all’ultima settimana di questo #maggiodeilibri, il cui tema stavolta è “Lingua e identità”. Devo dire che nel mio percorso di studi mi sono dedicata molto alla lingua e al linguaggio, e mi sono appassionata a diverse discipline. A parte le lingue straniere ho studiato materie come linguistica e filologia, materie che non mi hanno solo permesso di sapere molte più cose sui linguaggi, ma che mi hanno proprio cambiato il modo di vedere le parole, gli enunciati e il nostro modo di esprimerci in generale. È come se di punto in bianco vi dessero degli occhiali speciali che vi facciano vedere la realtà con uno zoom molto più potente.
Il libro che ho pensato di leggere e di raccontarvi in questa settimana a qualcosa a che vedere proprio con la filologia, a partire dal titolo, che rappresenta un fenomeno linguistico importante, per arrivare al protagonista, che è un famoso filologo. Parliamo de La caduta delle consonanti intervocaliche (O professor, titolo originale) di Cristovão Tezza, pubblicato da Fazi nel 2016.

Tutto è cominciato quando il “dolor” ha preso a trasformarsi subdolamente in “door” e infine in “dor”: ecco fatto! Un’altra lingua.

La caduta delle consonanti intervocaliche è un fenomeno che accadde tra il X e l’X nel territorio dove sarebbe poi nato il Portogallo e rappresenta il punto in cui la lingua spagnola e quella portoghese si separano definitivamente. È una cosa che interessa moltissimo a Heliseu da Motta e Silva, grande professore di filologia brasiliano, che proprio da lì ha cominciato il suo lavoro. Casualmente è anche il motivo per cui ha conosciuto sua moglie.
La vicenda parte da quando, ormai, in pensione, Heliseu si appresta a ricevere un omaggio dall’Università e a preparare un discorso di ringraziamento, così inizia a fare un percorso a ritroso nella sua mente e a ripercorrere tutta la sua vita: gli anni Sessanta, l’incontro e il matrimonio con Mônica, il figlio Eduardo, un buon lavoro, un ottimo stipendio, la casa, la relazione con la dottoranda francese Therèse, le pubblicazioni, il ritiro a una vita più tranquilla. Sembra che abbia avuto tutto, una vita a cui non è mancato nulla.

Però tra un ricordo e l’altro si fanno strada dubbi, incertezze, piccoli dettagli che fanno capire a Heliseu e a noi che leggiamo i suoi pensieri che forse non è andato tutto liscio come l’olio. Il rapporto con i colleghi non è stato dei migliori, si accorge di aver spesso sentito su di sé il disprezzo, le dicerie sulla sua relazione con la dottoranda; la moglie è sempre stata distante, forse perché anche lui lo era nei suoi confronti, e poi è morta in modo tragico; il figlio se n’è andato lontano, negli Stati Uniti, si è sposato con Andrew e ha adottato una bambina afroamericana. L’unica figura che sembra essergli rimasta vicina è dona Diva, la donna che sbriga le faccende domestiche in casa sua.

Heliseu racconta la propria storia con battute ironiche e sorrisi, con un linguaggio apparentemente allegro e divertente, ma dietro cui si cela un’amarezza profonda, una specie di delusione per tutto ciò che ha e non ha avuto. La vita non consiste nel raggiungere traguardi (avere un lavoro, sposarsi, avere figli, riconoscimenti), bensì nel passare nel miglior modo possibile il tempo che abbiamo a disposizione, e il protagonista si accorge man mano che va avanti col suo racconto che molto gli è mancato e gli manca ancora, alla fine del suo percorso.
Quella di Heliseu da Motta e Silva diventa, quindi, una sorta di confessione, un modo di riconoscere i propri errori, di volersi quasi redimere – a un certo punto pensa di trasferirsi in California e avvicinarsi a quel figlio che ormai gli è estraneo e ha una sua vita. Ma se è vero che è una confessione, la sua vanità è troppo grande, quindi i suoi sbagli li giustifica, tenta sempre di fornire motivazioni valide per ciò che ha fatto. Si accorge di essere rimasto solo, è abbastanza intelligente da capirlo, ma la sua autostima e il suo amor proprio sono così forti da farlo apparire spocchioso e non fargli realizzare che in fondo la sua vita è tutta una sconfitta. «Sto bene», si fa forza alla fine.

Lo stile è particolare, in questo romanzo, considerando che il protagonista è un professore di filologia e studioso di letteratura. La narrazione è spesso inframmezzata da riflessioni linguistiche e citazioni letterarie inserite al punto giusto, e tutto questo, sommato all’intelligenza, alla cultura, all’arguzia e anche al narcisismo della voce narrante, fa sì che ne venga fuori un romanzo colto e ben fatto. Purtroppo devo dire che non mi ha conquistato, nel senso che non me ne sono innamorata, ma è un libro che sono contenta di aver letto e che ho comunque apprezzato.

La caduta delle consonanti intervocaliche è la storia di un uomo che racconta la propria vita illudendosi di aver avuto tutto, ma che sa che così non è. È un romanzo che forse in qualche punto può apparire ostico nella lettura, specialmente per chi non è un appassionato di certe discipline legate allo studio della lingua, ma è comunque godibile.
Buona lettura!

Titolo: La caduta delle consonanti intervocaliche
Autore: Cristovão Tezza
Traduttore: D. Petruccioli
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 2016
Pagine: 237
Prezzo: 17,50 €
Editore: Fazi


Il menu della settimana di #BlogNotesMaggio:

Vi invito a seguire sui social tutti i blog e i canali per rimanere aggiornati e in aggiunta vi segnalo anche il blog di #blognotes libri, il Tè tostato di Laura Ganzetti Maria Di Cuonzo, Andrea di Un antidoto contro la solitudine e Diana di Non riesco a saziarmi di libri.
Perché è bello fare condivisione!

Philip Roth è immortale

Sì, siamo soli, profondamente soli, e in serbo per noi, sempre, c’è uno strato di solitudine ancora più profondo. Non c’è nulla che possiamo fare per liberarcene. No, la solitudine non dovrebbe stupirci, per sorprendente che possa essere farne l’esperienza. Puoi cercare di tirar fuori tutto quello che hai dentro, ma allora non sarai altro che questo: vuoto e solo anziché pieno e solo.

(Philip Roth, Pastorale americana, trad. Vincenzo Mantovani, Einaudi, 1998)

Philip Milton Roth (Newark, 19 marzo 1933 – New York, 22 maggio 2018)

 

Questo è un giorno triste, ci ha lasciato uno dei più grandi autori del Novecento e che personalmente amo moltissimo, uno che però si è guadagnato l’immortalità. Normalmente non dedico post agli scrittori che se ne vanno, ma per Philip Roth è tutta un’altra storia.
Voi lo avete letto? Quali romanzi avete amato di più?