“Cuccette per signora” di Anita Nair

Sentì che le labbra le si distendevano in un sorriso.
Sono parte di un ruscello che questa sera fugge da questa città.
Salirò su di un treno e lascerò che mi conduca
verso un orizzonte che non riconoscerò.

 

IMG_20151019_135026Fino al 1998 alla stazione di Bangalore c’era uno sportello della biglietteria dedicato ad anziani, donne e portatori di handicap, così come sui treni notturni con scompartimenti riservati di seconda classe esistevano delle cuccette per signore (ladies coupé). Oggi nelle carrozze di nuova costruzione queste cuccette non esistono più e sono stati aboliti anche gli sportelli per signore.

È necessaria questa premessa per parlare di un romanzo di Anita Nair che mi è piaciuto moltissimo, intitolato Cuccette per signora, ambientato negli anni in cui questi spazi dedicati alle donne sui treni c’erano ancora. Siamo in India, a Bangalore (e dintorni), con la nostra protagonista, Akhila:

Quarantacinque anni. Senza occhiali dalle lenti rosa. Senza un marito, dei figli, una casa e una famiglia. Che sogna di fughe e spazi liberi. Affamata di vita ed esperienza. Che muore dal desiderio di trovare una connessione.

Dopo tanti anni in cui si è occupata degli altri e mai di se stessa, Akhila adesso sta realizzando il suo sogno, quello di fare un viaggio in treno da sola per andare in un paesino lontano. Nel suo scompartimento ci sono sei posti: uno lo occupa lei, e gli altri da cinque donne con cui si creerà un legame. La vecchia Janaki, che il marito da sempre viziato senza lasciarle il tempo di rendersi conto della sua autosufficienza; Margaret, professoressa di chimica sposata con il preside della stessa scuola in cui insegna, un uomo insensibile che però ha un punto debole, come tutti; Prabha Devi, una donna che è allo stesso tempo causa del suo male e anche della sua rinascita; Sheela, una quattordicenne molto più matura delle sue coetanee; Marikolanthu, che ha perso la sua innocenza e la sua dignità. Queste compagne di viaggio racconteranno ad Akhila le proprie storie insegnandole molto più quanto lei non si aspettasse.

Akhila è la maggiore tra i suoi fratelli e quando è morto suo padre si è messa a lavorare, prendendo il posto del genitore all’ufficio delle imposte, per mantenere la sua famiglia. La madre si è sempre dedicata al marito come se fosse una divinità e come se la donna dovesse necessariamente essere succube dell’uomo, servirlo e compiacerlo. Akhila non vuole questo, quando le è capitata la possibilità di avere un uomo al suo fianco si è tirata indietro, e adesso è arrivata all’età di quarantacinque anni da sola e senza attenersi troppo alle rigide regole dei brahmini. Si arrischia perfino a mangiare le uova, che la sua amica mezza inglese Kate le ha fatto assaggiare una volta. Alla morte di sua madre, però, si ritrova in casa la sorella Padma col marito e le due figlie, “perché una donna non può mica vivere da sola, sarebbe inappropriato”. E così non riesce a stare per conto suo, a crearsi una sua vita.

Anita Nair

A questo punto mi è venuto seriamente da mangiarmi le mani, perché il personaggio di Padma, in particolare, è da prendere a schiaffi. Invade la casa di una sorella che per tanto tempo l’ha mantenuta, porta il baccano di due figlie, un marito che non è poi così socievole e simpatico, parla male di lei con le vicine dicendo che è una povera zitella e che a casa fa tutto lei (pulire, cucinare, stirare) perché Akhila non è in grado. E fa ancora più rabbia quando Akhila le comunica di voler stare per conto suo, da sola, perché è triste una donna che dice ad un’altra donna che da sola non può sopravvivere senza un uomo e senza il benestare dei suoi fratelli. Che l’uomo, praticamente, chiunque sia, fratello, marito o padre, deve decidere per una donna.

Cuccette per signora ci fornisce uno spaccato della vita delle donne indiane. Il romanzo è del 2001 e suppongo che tante cose siano cambiate in quattordici anni, ma non tutte, da quello che sentiamo ogni giorno. Ognuna delle donne che Akhila incontra sul treno rappresenta un tipo di vita diverso: quella a cui è andata bene, quella ricca che ha vissuto nell’ovatta e che si è creata i suoi problemi da sola risolvendoli in seguito sempre da sola, la moglie oppressa dal marito che trova il suo punto debole e lo annichilisce, la ragazza ingenua a cui viene portata via la dignità. Tutte vivono in un mondo in cui la donna conta poco: deve vestirsi in un certo modo, essere accomodante, fare quello che dice il marito, stare attenta a camminare per strada perché potrebbe incontrare un uomo pronto a stuprarla. In quest’ultimo caso potrebbe perdere tutto, perché se venisse violentata la colpa sarebbe sua per aver provocato e stuzzicato l’aggressore. Non vi sembra attuale?

Non sono mai stata una femminista, ma alcuni principi sono basilari. Per questo motivo mi è piaciuto in particolar modo un brano, che vi riporto qui di seguito, in cui Akhila incontra una vecchia amica, Karpagam, che è rimasta vedova ma che sa che non per questo la sua vita finisce qui. Ha davvero molto da insegnare:

Karpagam trasse un profondo respiro e disse: «Non mi interessa quello che dice la mia famiglia o chiunque altro. Io sono io, e ho lo stesso diritto di tutti gli altri di vivere come voglio. Dimmi, da bambine non indossavamo vestiti colorati e gioielli e un bottu? Non è un privilegio sanzionato dal matrimonio. Secondo me, il desiderio di essere femminili è naturale per una donna. Non ha nulla a che fare col fatto che sia sposata o meno e che il marito sia vivo o morto. Ma chi le ha fatte queste leggi? Qualche uomo che non tollerava il pensiero che, dopo la sua morte, la moglie potesse essere ancora attraente per altri uomini.»
Le parole le scivolavano dalle labbra con la facilità di chi le ha pronunciate già molte altre volte. E Akhila si rese conto con vergogna che, mentre lei aveva sguazzato in una pozza di autocommiserazione con la stessa docilità di un bufalo d’acqua, lasciando che i parassiti si pascessero di lei, Karpagam invece era andata avanti e aveva imparato a sopravvivere.
«Io vivo da sola. Lo faccio da molti anni ormai. Lo fa anche mia figlia, che ha solo ventitré anni. Siamo forti, Akhi. Lo siamo, se lo vogliamo.»

La scrittura di Anita Nair è affascinante, ci si sente catapultati in un mondo fatto di profumi e colori (tanto più che alla fine del libro c’è un’appendice con alcune ricette indiane), ma anche pieno di pericoli. Non potrete fare a meno di immedesimarvi in ognuna delle donne che occupano lo scompartimento, anzi, vi sembrerà di fare questo viaggio insieme a loro, senza fretta.

Buona lettura!

Titolo: Cuccette per signora
Autore: Anita Nair
Traduzione:
 Francesca Diano
Genere:
 Romanzo
Anno di pubblicazione:
 2001 (2012 in Italia)
Pagine: 332
Prezzo: 11 €
Editore: Guanda

Giudizio personale: spienaspienaspienaspienasmezza

 

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